Il fiume – II – Mater non certa est
“Raccontalo anche a Mimmo quello che hai sentito l’altro giorno, su dai. Da quel tipo sconosciuto intendo”
“Ma io volevo fare il bagno adesso, glielo racconto…”
“Il bagno vuole fare lui. Il bagno. Come i ragazzini. Adesso ha digerito e può fare il bagnetto.” Luana, seduta, sollevò la rivista Oggi che teneva a fianco di sé e la gettò nello stesso punto dove si trovava prima. Sbuffando continuò “Gian, è un problema se prima di fare il bagnetto racconti anche a Mimmo quello che ti ha detto quell’uomo? Ce la puoi fare?”
Gian era a metà strada tra gli asciugamani dove sedevano la moglie Luana e Mimmo e l’acqua del fiume. Si portò le mani ai fianchi, guardò loro due che a sua volta lo osservavano con la stessa espressione. Gian lesse un accenno di disprezzo. Poi si voltò verso le rocce che scendevano a picco sull’acqua, seguì il corso del fiume verso valle, si soffermò un attimo sull’uomo sconosciuto che a una quindicina di metri da lui se ne stava seduto sullo stesso sasso del giorno precedente, i piedi nell’acqua, un taccuino rosso in mano. Il ragazzino biondo nuotava davanti a lui e ogni tanto ne richiamava l’attenzione. Infine lo sguardo passò oltre, verso l’orizzonte. Laggiù, da qualche parte, il fiume giungeva al mare e i gabbiani stridevano e banchettavano sfortunati pesci. Io sarei uno di quei pesci, pensò. Il mare. Il lungomare dove i ragazzi guardavano i culi delle ragazze e qualcuno otteneva pure un sorriso. Ma non io di certo, pensò. Infine immaginò le barche e tutta quella gente sconosciuta, completamente sconosciuta. Così sconosciuta e così tanta che tutto sommato, in mezzo a cotanta varietà, un’esistenza più decente di quella che stava conducendo l’avrebbe trovata di sicuro. Un posto migliore, pensò. Invidia, grande invidia. Un sentimento che lo paralizzava. Fu assalito dallo sconforto. Si volse verso l’acqua del fiume. Tutto d’un tratto s’era fatta lontana, scura. Gelida, anche. Un peso enorme gli piegò la schiena in avanti. Un sasso, uno dei tanti sparsi ai suoi piedi, gli chiese come stava. Una merda, gli rispose Gian. Una merda. E guardò la moglie Luana e l’amico Mimmo seduti sui loro asciugamani. Uno accanto all’altro.
“Che mi ha detto, mi ha detto sta cosa strana che poi a me ha fatto pensare che…”
“Esponi i fatti per bene, non ti far prendere dall’ansia Cristiddio” lo interruppe la moglie “Tutte le volte che deve raccontare qualcosa sembra che non vede l’ora di arrivare in fondo. Cosa ci può capire Mimmo se gli spieghi a questa maniera?”
“Eh si, Gian, tua moglie ha ragione. Non si capisce un cazzo così” Mimmo si ravvivò i ciuffi corvini e offrì i lineamenti decisi al vento. Luana lo guardò e sorrise. Gian controllò nuovamente il piccolo fazzoletto di sabbia dove sedevano Luana e Mimmo. C’era posto solamente per due asciugamani e il suo, ovviamente, era tra i sassi. Chinò la testa e si guardò la pancia. Era gonfia. Spuntavano giusto le dita dei piedi. Cercò in quella pancia la forza per continuare il discorso.
“Stavo dicendo che io e quell’uomo lì l’altro giorno si stava parlando un attimo. Io sono andato là per fare conoscenza…”
“No, tu non ci volevi andare. Io ti ho detto di andarci”
“Ecco, Luana mi ha consigliato…”
“Detto”
“Detto di andare a conoscere questo uomo. Allora ci siamo messi un po’ a parlare, cioè io parlavo perché lui diceva poco e niente…”
“Ci credo, se parli così” lo interruppe Mimmo. Luana rise. Gian fece finta di nulla e continuò.
“E alla fine non so perché gli ho detto che deve essere bello avere figli e vederli giocare e lui mi fa che si, è proprio bello. Allora io butto lì questa cosa che secondo me il momento più bello deve essere quando appena nati li vedi in braccio della madre per la prima volta e allora lui ci pensa un po’ su e mi dice: non lo so.”
Si voltò verso le rocce che scendevano a picco sull’acqua, seguì il corso del fiume verso valle, si soffermò un attimo sull’uomo sconosciuto che a una quindicina di metri da lui se ne stava seduto sullo stesso sasso del giorno precedente, i piedi nell’acqua, un taccuino rosso in mano.
“Boby, Boby bello, che scrive quel tipaccio nel taccuino? Eh Boby? Le poesie? Dimmi un po'” e così dicendo Mimmo afferrò il muso del cane con una mano mentre con l’altra gli dava delle pacche nel costato e nella schiena. Il cane del fiume si liberò e andò a scegliere un posto dove potersi leccare avidamente il pene.
“Sta cosa è strana molto”, continuò Mimmo osservando il cane allontanarsi, “Quindi questo tizio non ha visto nascere suo figlio”.
“Magari non è suo figlio” disse Gian.
“Si che è suo figlio. Te lo dico io”
“Cosa ne sai?”
“Io una figlia ce l’ho. Non che la vedo molto…” Mimmo sembrò voler continuare, ma non trovò le parole.
“Anche secondo me è suo figlio”, intervenne Luana, “Ma non capisco perché cazzo una risposta del genere.”
“Può essere che gli sia arrivato dopo. Che non sapeva di averlo messo al mondo intendo” disse Gian. Si voltò verso lo sconosciuto. Provò a raffigurare l’ipotetico momento della scoperta della paternità e sentì, va da sé, una grande invidia.
“Ci sta. Chissà chi è la madre. Se la vedremo mai. Certo che se almeno glielo avessi chiesto che cosa volesse dire non saremmo qui a fasciarci la testa” rispose Luana.
“Ma come facevo Lu a chiedergli una cosa del genere? Ma secondo te?”
“Magari ridendo, buttandola in battuta. Un po’ di brio Gian, via” disse Mimmo.
“Esatto” disse Luana “Chissà quando ne verremo a capo”.
“In qualche modo lo capirò chi cazzo è, chi è sto figlio che si porta dietro e pure che cazzo c’ha da scrivere su un taccuino”, Mimmo si alzò e si diresse verso il fiume, “Lo capirò” ribadì con un piede già nell’acqua.
Fu la lingua del cane del fiume a svegliare Gian. Il sole era oramai dietro la montagna. Nonostante i sassi sotto la schiena doveva aver dormito almeno un’ora. Si guardò attorno. I ragazzini erano andati via, lo sconosciuto e il figlio o chiunque fosse quel biondino pure. Cercò Luana e Mimmo. Erano una ventina di metri più a monte, dove il fiume scende più ripido e i ragazzini avevano creato delle piccole dighe con i sassi. Seduti vicini, su una di queste dighe, Luana e Mimmo parlavano di cose che il rumore del fiume e la distanza non permettevano di comprendere. Mimmo tirava sassi. Il vento divideva i riccioli neri in due ciocche, mentre il naso resisteva alla brezza e la pareva fendere come la prua di una nave. Luana si portava con le mani l’acqua alle ginocchia e nascondeva le espressioni dietro a due grossi occhiali da sole rotondi. Il cane pisciò sul loro asciugamano. Gian sogghignò e accarezzò una zampa. Poi, come l’ombra della sera sul fiume, arrivò lo sconforto. I pensieri sul mare. Tutta quella gente più fortunata di lui. Il cane sbadigliò e si diresse verso i campi dei contadini.