La puntura
La signora Battista aveva le mani nodose e all’anulare della destra portava sempre un anello impreziosito da una grossa ametista. Arrivava di buon’ora la mattina a casa e il campanello della porta era il segnale della ritirata dietro la tenda che separava “l’angolino” dal resto del soggiorno. Il fortino nel quale mi arroccavo per sottrarmi alla siringa, ché la mano ingioiellata era sì lieve, ma non si poteva dire altrettanto del cortisone che attraverso l’ago finiva dritto dritto nel popò, era una rientranza frutto della bislacca planimetria dell’appartamento dove sono nata e che mi ha regalato tanta spensierata gioia. Ed era proprio quella spensierata gioia, sulla quale avevo saldamente accomodato le mie paffute natiche, a rendere ancora più drammatico il momento della puntura (che paura!)
La signora Battista era una brava infermiera, però la voce roca non l’aiutava di certo a familiarizzare con una bambina che, nascosta dietro la tenda, la ascoltava mentre parlava con sua madre e la accostava alla strega di Hansel e Gretel. Comunque la signora Battista non si lasciava impietosire dall’espressione terrorizzata che si disegnava sul mio viso quando, con un gesto deciso e repentino, mia madre apriva la tenda per stanarmi. E così ciò che si doveva compiere si compiva. Dopo l’offerta della chiappa sacrificale sull’altare dell’otite, in segno di ringraziamento per non aver fatto succedere la disturbata di prima mattina a piazzetta Rodinò, mia madre mi omaggiava di un cioccolatino e io mi facevo promettere che nel pomeriggio, dopo i compiti, saremmo uscite per andare dal giornalaio a comprare le figurine di Lady Oscar.
Quel rito consolatorio l’ho celebrato nei giorni scorsi dopo una puntura al cuore che mi ha procurato un dolore molto più intenso di quello patito dal lato B(ambina). Però gli anni e i chilometri trascorsi nel frattempo hanno reso necessario qualche riadattamento: del cioccolatino sono stata omaggiata da me medesima e da mia madre al telefono mi son fatta promettere che, in occasione della mia prossima discesa a Napoli, andremo sottobraccio a passeggiare per i vicoli e i vicarielli del centro storico.
Quando ancora non avevo acquistato il titolo di Napòlide, camminare tra cardini e decumani della Città antica era il rimedio che adottavo come automedicazione per il cuore ferito. E adesso ho voglia di sentirlo di nuovo l’abbraccio dei “palazzi vecchi di questa città che mi dà emozione ancora”. Ho voglia di sentirmi di nuovo protetta, al sicuro nel ventre della sirena. Ho voglia di essere partorita a vita nuova per liberarmi del veleno iniettato da una mano che mai più stringerò.