Il fiume – I – Novità della stagione estiva
La mattina del 2 di giugno il primo ad arrivare fu il cane nero a cui nessuno, nelle precedenti estati, si era degnato di dare un nome. Il cane del fiume era più che sufficiente per tutti e poi a lui di avere un nome non interessava granché. Aveva il pelo nero piuttosto lungo e due occhi corvini incastonati in fessure talmente piccole che a molti pareva camminasse con gli occhi chiusi. Così da qualche anno si era sparsa la voce che il cane del fiume conoscesse così bene ogni sasso, ogni riva e pure le abitudini di ogni bagnante che fosse in grado di gironzolare a occhi chiusi. In verità il cane del fiume guardava eccome. I suoi piccoli occhi forse non temevano i sassi posati a terra, ma quelli lanciati dai ragazzini li temevano eccome. E quando non erano i ragazzini a far volare le pietre erano i contadini a cui rubava tutto quanto gli passasse tra le fauci. Per costoro non era il cane del fiume, era il cane di merda. In fin dei conti, anche questo nome piuttosto infamante lo lasciava indifferente.
Il cane del fiume percorse la distesa di sassi e arrivò fino alla riva. L’inverno e le sue piene non avevano portato particolari cambiamenti. Il fiume scorreva placido, non più largo di sei, sette metri e non più profondo di un paio di metri. Oltre il fiume c’era la collina che scendeva a precipizio sull’acqua. Il cane del fiume si voltò a guardare la spianata di sassi che aveva percorso. Oltre le pietre gli alberi e oltre gli alberi i campi dei suoi amati contadini. Qui e là nella distesa di sassi facevano capolino alcuni banchi di sabbia che presto i bagnanti avrebbero conteso a colpi di asciugamano. Ma questi non sarebbero arrivati fino al pomeriggio e il cane del fiume lo sapeva. Passò in rassegna ogni fazzoletto di sabbia. Quando gli sfinteri si furono svuotati del tutto, iniziò a liberare la vescica. Ogni misfatto fu coperto, che la sorpresa fosse completa. Un paio di spiaggette rimasero a secco. Ma era il primo giorno. Tempo due settimane e avrebbe preso le misure. Poi si tuffò nell’acqua, girò in tondo un paio di volte, uscì, si diede una bella scrollata, si sedette, si leccò il pene per un paio di minuti e infine si addormentò. Sognò di ingroppare la cagna di un contadino e renderla gravida, ma anche cose meno belle, come una sassata in pieno muso che lo fece sobbalzare nel sonno.
La mattina del 2 di giugno il primo ad arrivare fu il cane nero a cui nessuno, nelle precedenti estati, si era degnato di dare un nome. Il cane del fiume era più che sufficiente per tutti e poi a lui di avere un nome non interessava granché.
Le facce note arrivarono verso le tre del pomeriggio, ma non erano che due persone. E per il resto, per quella giornata, non si sarebbe visto nessun altro. Un inizio di stagione un po’ in sordina, rispetto agli anni precedenti. Del resto a maggio era piovuto molto e ancora ieri il bollettino meteo aveva insinuato dubbi poi rivelatisi infondati. Era una coppia all’incirca sulla quarantina, tra i più assidui frequentatori del lido. Misero l’asciugamano nella parte di sabbia dove il cane aveva dato il meglio di sé, poi entrarono nel fiume fino a che l’acqua non arrivò alle ginocchia e li rimasero per dieci minuti. Non un centimetro oltre del loro corpo sarebbe stato accarezzato dalla corrente quel giorno. Lui aveva radi capelli castani, due ali di peli sulla schiena e la pelle bianca e piena di nei. Lei era appesantita sui fianchi, nella vita e pure le cosce non godevano di ottima salute. Cicalavano di inezie a cui non davano importanza nemmeno loro e guardavano l’uomo e il ragazzo qualche metro più in là, senza purtroppo riuscire ad assegnare nomi né tanto meno ipotizzare parentele e seconde case. Un quarto d’ora dopo la donna, dall’asciugamano su cui posava le rigogliose carni, guardava il suo uomo conversare con lo sconosciuto, ancora seduto sulla stessa pietra in cui lo aveva visto il cane al suo risveglio, mentre il ragazzino ora tirava sassi nel fiume. Ma, a dire il vero, quello sconosciuto non le pareva per nulla interessato alla conversazione e nemmeno di uno sguardo degnava il suo uomo che se ne stava in piedi a guardare la schiena dell’altro con un viso interdetto e una pancia che proiettava un’ombra convessa sui sassi. Coglione, disse la donna. E non si riferiva certo allo sconosciuto. Insomma, in cinque minuti tutto era finito e la donna dimostrò il suo disappunto con una smorfia delle guance.
E tuttavia l’uomo ritornò verso la compagna strabuzzando gli occhi e gonfiando le gote e pure il cane doveva aver capito che qualcosa di strano era stato detto perché si avvicinò alla coppia con le orecchie dritte.
“Che cosa ho sentito, Luana, che cosa ho sentito” disse. E mosse la mano freneticamente di fianco al volto. “Che cosa ho sentito” ribadì. E quindi tutti e tre si voltarono verso quella che sarebbe stata senza dubbio la novità della stagione estiva appena iniziata.