E adesso?
E adesso?
Il fatto era semplice: oggi, finalmente, in un giorno di rovente scirocco, Alfredo poteva rivolgere uno sguardo rasserenante alla città. Palermo città d’afa che allenta il battito, Palermo di cielo turchino che illumina le cupole, Palermo di pietra e di latta che la sabbia ricopre.
E adesso?
Circa trecentoquaranta cerchi rossi segnati sul calendario contavano i giorni indisponibili, quel tempo sospeso, quello di durata inesatto, indeterminato, quello riempito di abitudine dell’attesa. Quel tragitto anche fisico sbarrato che impediva anche alla sua memoria, da quando tutto aveva avuto inizio, di cullare e trattenere nello spazio ristretto i propri ricordi, quelli assaltati e strappati dalla forza dell’esilio. Non bastava parola a scovare tra le cose saccheggiate anche quelle più care come l’odore della pelle di Sara. Celebrava la sua assenza tentando di intrecciare con le parole i fili che lo tenevano ancora aggrappato alla realtà, ma il permanente distacco quasi ormai strappava ogni resistenza al naufragio.
Eppure, la lucidità di quell’illuminato mattino dell’otto giugno, che ingombrava, oltre il divano disfatto, anche la propria mente, non avrebbe dovuto procurargli più alcun oscuro presagio.
Ogni cosa ritornava al proprio posto. E adesso?
In quel mattino di nuove promesse scivolava lenta l’estate dal Monte Pellegrino, da lassù dove la Santa, rifugiata e distesa nella grotta umida di pianti, rinnovava silenziosa la fiducia sulla città di Palermo.
La fine della paura e l’inizio per ricominciare. La fine della fuga. E adesso?
Esitava. Alfredo scorgeva dalla sua finestra la severa piazza arabo-normanna quadrata, regolare come una zattera, pronta ad accoglierlo e l’edicola di rovente ferro che quasi intralciava il passaggio, una garitta, come un guardiano severo sul cammino indolente degli uomini.
Sarebbe stato così difficile, allora, intraprendere la via, scivolare verso Via Roma e correre oltre verso i giardini, aspirarne i profumi e gli odori e poi raggiungere la meta stabilita per abbracciare timido e quieto il respiro tiepido di Sara?
Come aria fresca scossa dal fastidioso rombare di emozioni lanciate verso la libertà, nessun ostacolo, nessun contrattempo da quel giorno gli avrebbe impedito di uscire. E adesso?
La conquista della libertà aveva bisogno di audacia, del vigore del coraggio e quel giorno di caldo e sudore appiccicoso, che come una muta avvolgeva la pelle pallida di Alfredo, poteva essere il giorno auspicato, desiderato. Il giorno giusto! Dalla cucina l’anta destra della finestra gli concedeva la possibilità di scorgere il profilo del marciapiede, pressappoco sgombro ad eccezione della sentinella di ferro dell’edicola, tutto era illuminato dalla calda afa d’inizio estate. E adesso?
A forzare l’ingranaggio bastava poco. Il giorno perfetto! Potenza e pazienza! Da oggi avrebbe potuto attraversare veloce, anche se intimorito, il tragitto che da casa sua lo avrebbe condotto al bar e poi in discesa correre via veloce per stringersi tra le braccia Sara.
Lasciare l’esilio! Sarebbe bastato avere un piede leggero e un corpo disinvolto. Una buona colazione, un saluto agli amici, un commento veloce e poi via per scivolare placido tra le sue braccia. Bastava poco. Occorreva decidere. Rinascere senza rimorsi, partorire senza dolore. Reagire all’assenza con la forza della passione, dopo il tempo del confino. Adesso. Ora. Adesso!
Aprì la porta. Va tutto benissimo, si disse. Una diagonale di luce attraversava il pianerottolo. Una linea di luce che, come la spada laser di Star Wars, incrociava l’uscita verso le scale. Un taglio di bagliore da cui non sgorgava sangue, ma nebbia di polvere secca e sulla destra l’ascensore e un cartello bianco con una scritta rossa: FUORI SERVIZIO. Pochi secondi per convincere Alfredo: era meglio non rischiare.