Leaving New York
Tra tanti luoghi simbolo a New York, per me the most iconic, come amano dire loro, è forse Central Park. Ed è lì che abbiamo scelto di tornare, per trascorrere le ultime ore newyorkesi, dopo una mattinata trascorsa nel confinante e bellissimo Met (Metropolitan Museum of Art, a proposito: se vi trovate da quelle parti andateci, assolutamente imperdibile).
Central Park non è solo parte di New York: È New York. E non parlo solo di bellezza del luogo, che pure è bellissimo, con tutto quel verde che si perde a vista d’occhio, circondato da grattacieli. Parlo della vitalità che il luogo contiene, del modo di essere degli abitanti di questa città gigantesca, che però qui appare discreta, umana, a misura d’uomo. Avevo in mente le immagini di tanti film con scene girate lì. Per esempio le passeggiate di Meg Ryan e Billy Cristal, in Harry ti presento Sally. O la struggente Wynona Rider di Autumn in New York, insieme a Richard Gere.
Appena varcata la soglia di uno dei tanti accessi sparsi per Manhattan, ho capito perché lo amano tanto. Ovunque entri, trovi gente che suona. Jazz, etnica, rock, pop. Suonano canzoni proprie, o pezzi molto noti. Per esempio, Imagine. Cosa ci può essere di meglio che fermarsi ed ascoltarla proprio nell’area di Central Park dedicata a John Lennon, che si chiama Strawberry Fields. Non a caso, è nella parte di parco vicino al Dakota Building, dove viveva e nei pressi del quale fu assassinato. Emozioni.
Altra gente dipinge, o fa fotografie, o si cimenta in qualcosa di sia pur vagamente artistico. Perché a New York, malgrado non ci siano radici culturali antiche e scuole artistiche gloriose come nel Vecchio Continente, tutto è rispetto per l’Arte, amore per l’Arte, in ogni sua forma, comunque si esprima.
Abbiamo visto un gruppo di donne orientali fare corsi di judo sull’erba, altri correre, pattinare, andare in bici o fare sport di qualsiasi tipo. Un uomo di colore con fisico statuario e in tenuta da jogging correre in salita spingendo il passeggino con suo figlio dentro. Altri ancora leggere, seduti sulle panchine, o flirtare, o chiacchierare, o lavorare a un portatile, o chattare al cellulare, o bere un drink con calma osservando il mondo, o al contrario, totalmente incurante del mondo.
Ma alla fine sono tutti Americani, si sentono newyorkesi, anche se loro o i loro genitori sono nati in Senegal, in Ecuador, in Irlanda, Grecia, in Corea, in Nuova Guinea, a Lamezia Terme o a Castel di Sangro o in mille altri posti. Amano sempre i paesi di provenienza, ma loro si sentono pienamente e fieramente Americani. Un fantastico modello di integrazione vera. Anche se temo non facilmente replicabile.
Abbiamo chiesto informazioni a passanti nel nostro inglese così così, abbiamo fatto foto, abbiamo sorriso tra noi o ai nostri interlocutori, corrisposti, abbiamo camminato, guardato, respirato. È stato un bel commiato, speriamo un arrivederci, da questa città incredibile. Anzi, è certamente un arrivederci. See you soon, New York.
Avevano ragione i Rem: “…leaving New York never easy…”