Furto 10 – Totò e Mimì
I dialetti non sono mai stati il mio forte. Il siciliano, mia lingua d’origine, è di per sé complicatissimo e ogni provincia, ogni paese confinante addirittura, possiede un dialetto le cui parole sono parenti di trentordicesimo grado.
Per anni ho vissuto in Calabria e se quella messinese-palermitana era per me una lingua impervia, non avrei mai potuto immaginare che la Locride ne possedesse una incomprensibile. Le cose si complicano quando si lavora con bambini che parlano un dialetto che non conosci e che hanno errori di pronuncia. Praticamente la follia.
Totò e Mimì sono stati due fra i miei primi pazienti calabresi, entrambi con la sindrome di Down, il primo tamarro e logorroico da penetrazione cerebrale continua, la seconda invece silenziosa ed elegantissima, una regina, entrambi con un’unica ossessione, il sottoscritto, perennemente in conflitto pur di attirare la mia attenzione. E non è facile convivere in un ambiente di lavoro dove ti ritrovi senza saperlo una moglie e un marito gelosi, che sanno l’uno dell’altra e farebbero serenamente fuori l’avversario.
Totò mi fece diventare Cula, Mimì invece Loca, e sentirmi chiamare dal primo come una drag queen e dalla seconda come mia madre quando dimentico di girare il sugo di maiale sul fornello fu abbastanza semplice e intuitivo, e le mie varie personalità non hanno faticato ad abituarsi. La frase di Totò, quasi da considerare un intercalare, era piscinni a tìa, originariamente tu i scippi, che tradotto vuol dire tu le prendi, una specie di minaccia poco velata tipica delle mamme del sud. Con uno degli strani e straordinari storpiamenti alla Totò era diventato un sonoro piscinni a tìa o addirittura piscippi quando aveva la necessità di essere sbrigativo perché magari impegnato a inseguirmi nel corridoio con l’infradito in mano.
Mimì detestava Totò e detestava soprattutto le sue minacce corredate dal gesto. Venne un giorno da me, con movenze imbambolanti che manco Elisa di Rivombrosa e accarezzandosi i capelli sempre freschi di mano da zzà Tota, con uno sguardo plumbeo e severo quasi piangendo mi disse Loca, Totò me dici pisciotto. Io che avevo appena imparato il significato di piscinni dissi a Mimì di lasciarlo perdere e di non arrabbiarsi perché Totò diceva quelle cose solo per gioco e non perché volesse davvero colpirla. La cosa strana, e che avrebbe dovuto quantomeno farmi sospettare, era il tono basso e grave con cui la piccola continuava a riferirmi quel racconto, Loca, Loca, ti dissi ca u Totò me dici pisciotto. Così, data l’insistenza, andai da Totò interrogandolo e poi richiamandolo, ma Mimì continuava a ribadirmi che Totò le diceva pisciotto, u capisti ca me dici pisciotto?
Insomma fra piscinni e pisciotto e una pisciata d’esigenza stavo quasi per perdere la mia identità come terapista e non capirci più un piffero. Nel tentativo benevolo di risolvere la questione ed essendoci chiare difficoltà di comunicazione andai dalla mia responsabile, una straordinaria dottoressa di quasi settant’anni, e con fare professionale le illustrai la questione:
Cara dottoressa, Totò e Mimì continuano a discutere in quanto Totò dice piscinni e Mimì capisce pisciotto…
A questa parola lei, la mia responsabile, emise una risata mista ad urlo, come quello di un delfino che ti fa perdere il cinquanta per cento dell’udito e, quasi senza respirare, mi mandò dalla segretaria, a signora Franca, pregandomi di raccontare quanto accaduto senza tralasciare alcuna parola. Anche questo avrebbe dovuto quantomeno insospettirmi, ma così feci, in fondo ero stato assunto da poco. Ricominciai:
Cara Franca, Totò e Mimì continuano a discutere in quanto Totò dice piscinni e Mimì capisce pisciotto…
A signora Franca con un fragoroso focu meu mi cacciò via dalla stanza dandomi del porco.
Ebbene, venni a scoprire solo qualche ora dopo, raccontando l’accaduto alla mamma di una mia paziente (sì, alla mamma di una mia paziente, proprio alla mamma di una mia paziente) che pisciotto è il modo più volgare e scostumato per chiamare la fragolina, la farfallina, la patatina, insomma u lip-sticchiu alla siciliana come canterebbe la mia amica Oriana Civile.
L’ho sempre detto io che i dialetti non sono mai stati il mio forte.