Racconti di evasione – La collina e Paolo Fox
Alle undici del mattino Sara è pronta alla Stazione Centrale di Palermo.
Ha con sé una borsetta a tracolla, un IPod vecchio e obsoleto e il piccolo zaino con l’indispensabile per passare la notte fuori.
Prende soltanto un caffè al Bar della stazione anche se ricorda benissimo e con un certo dispiacere che è di buona norma lasciarsi tentare anche dall’iris con la ricotta.
Poi però vai a sentire la zia.
Perché in ogni occasione in cui faceva qualcosa di molto simile a un pellegrinaggio per andarla a trovare, a sua zia, c’era ad aspettarla un banchetto.
Tutto svanisce per andare verso le montagne. In lontananza si vede Monte San Calogero, in giornate davvero trasparenti appare anche il miraggio dell’Etna, lontanissimo.
E la cosa migliore era che le uniche due invitate erano sempre loro.
Sara e la zia.
Il treno partiva da Palermo fino a Campofelice di Roccella, un paese che si trova lungo la strada per arrivare a Cefalù. Alla minuscola stazione dei treni, la zia stava aspettando con la fedele e antica Panda rossa. Poi via sulle colline delle Madonie circa mezz’ora di macchina fino a Collesano, il paese di origine di suo padre, dove erano rimaste lei e qualche altro parente lontano.
La possibilità di ascoltare musica e rilassarsi durerà circa cinquanta minuti in treno e Sara non se la lascia sfuggire: l’IPod impostato su random decide di partire con Eddie Vedder, Without you. Sara chiude gli occhi solo per qualche minuto, non vuole perdersi quello che l’aspetta e che conosce con molta familiarità: sta lasciando il marasma di Palermo alle spalle con tutto il caos, le persone e il rumore.
Tutto svanisce per andare verso le montagne. In lontananza si vede Monte San Calogero, in giornate davvero trasparenti appare anche il miraggio dell’Etna, lontanissimo.
Nella prima parte della strada, prima di arrivare al brullo paesaggio di Termini Imerese e dei capannoni, si sta schiacciati, felicemente, abbracciati dal mare da una parte e dal vuoto degli spaventosi cavalcavia siciliani a picco sulle montagne ripide dall’altra.
Il viaggio in treno dà grandi soddisfazioni per potersi concentrare bene su tutto ciò che avviene fuori dalle finestre; l’idea di perdere quel regolare paesaggio le mette un po’ di tristezza addosso.
Sara non ha mai visto Vilnius, ma è là che ha trovato lavoro. Ha tentato a Palermo, per tanto tempo senza molta fortuna, storie già viste, già sentite. Partenza prevista in aereo tra un paio di giorni.
Ci lassi tutti suli. Non so neanche dov’è quel posto dove devi andare, dice la zia
La zia sta aspettando alla stazione di Campofelice chiusa in macchina come sempre, ci sono circa trenta gradi ma lei non apre mai i finestrini: vive immersa in un paese fantasma e così sono le sue idee sul mondo, evanescenti e quasi irreali. Pensa ai ladri, pensa al raffreddore, le dice.
Si salutano in maniera impacciata e veloce.
Sbrighiamoci che c’è il pranzo…e Paolo Fox, dice.
Salgono da una statale fatta di curve che la zia fa quasi tutta a metà carreggiata, Sara sa che bisogna un po’ affidarsi alla buona sorte con un’autista e una macchina arrugginite dal tempo e tanto vale godersi il viaggio.
L’aria acquista un altro profumo. La Sicilia è così, si potrebbe viaggiare a occhi chiusi sapendo esattamente dove ci si trova. L’odore della collina è uno, vicino al mare ce n’è un altro, in alto verso Piano Battaglia è ancora diverso; quello della città è quello che le piace di meno.
Nella macchina quasi non si parlano, la zia è rabbuiata, elenca le cose, tante, che ci sono da mangiare. Le ricorda che è sempre più magra e di come quel viaggio lontanissimo che vuole fare in Lituania, sia una completa insensatezza.
Ci lassi tutti suli. Non so neanche dov’è quel posto dove devi andare, dice la zia.
Sono io che parto, da sola. Voi rimanete tutti qua, insieme. Poi ti faccio vedere di nuovo la mappa, non è tanto lontano, vicino alla Russia, risponde Sara.
Ma la zia sembra non seguire il filo del discorso.
Arrivando a Collesano si vede in lontananza un castello e la chiesa madre, l’ingresso del paese è fatto di case vecchie o mai terminate e non accoglie con grande entusiasmo i visitatori; gli alberi del viale, il belvedere e poi la pasticceria all’angolo dove inizia la scalinata: non si vede quasi nessuno.
Il centro brulica invece di persone anziane.
Una porta con un cartello sul quale c’è scritto Ambulatorio Pediatrico, ha la parola pediatrico sbarrata e corretta malamente con geriatrico.
La zia posteggia la macchina proprio di fronte alla casa in una strada ripidissima e saluta le vicine che si affacciano, sempre, come vedette per controllare chi va là.
Mia nipute chidda chi sturia, è venuta da Palermo, buon appetito a voi, dice a voce alta la zia senza che nessuno abbia chiesto niente.
Le vicine si ritraggono in silenzio, con il solito balletto delle tende ricamate.
Sara non lo sa ancora, ma quella coreografia che sembrava sempre trascurabile e automatica sarà la cosa che le mancherà di più nelle giornate di freddo.
A casa la tavola è piena di cibo: pizza, un piattino verde con mortadella, salame di maialino nero e primo sale, un vassoio di fettine di pollo impanato, olive, ricotta fresca con i pistacchi, caponata, torta con la crema, buccellati. Il menù non sbaglia mai perché una volta che Sara dice di apprezzare un piatto la zia lo ripropone, ma nel dubbio di non ricordare bene, li prepara tutti per non sbagliare.
Così la tavola è piena e sono solo loro due.
Zia ma quanto hai cucinato? Chiede Sara.
Non mangerai per tanto tempo, non so neanche dov’è questo posto figurarsi se so cosa si mangia, risponde.
Quella casa vicino al castello di un paese fantasma, circondata da gerani e mimose, contiene senza vergogna i centrini bianchi della nonna sparsi un po’ ovunque, bottigliette antiche di liquore fatto dalla zia nel mobile della sala da pranzo, la foto dei nonni appesa alla parete e vicino alla finestra dove c’è la vecchia macchina da cucire, una spudorata TV al plasma comprata nell’unico negozietto di elettronica che c’è lì vicino, pagata come se fosse oro puro.
La zia guarda con attenzione quel totem per seguire soltanto i programmi meteo, Paolo Fox e qualche telefilm pomeridiano di quelli che ripropongono da anni.
Prima di mangiare c’è Paolo Fox, mi dice. La classifica della settimana.
C’è questo astrologo che ogni settimana fa una classifica dei segni fortunati, dallo sfigato dodicesimo posto via via fino al podio di chi invece sarà il vincitore del mondo a colpi di fortuna, almeno per sette giorni interi.
La zia ci tiene a questi programmi e anche se non esce mai, ciò che predicono il Meteo e Paolo Fox le dà la misura del mondo là fuori. Qualche certezza. Ed è importante per lei.
Si versano un goccio di vino e guardano in silenzio.
Ti ha messo al primo posto, dice la zia sorridendo.
Vedo, le risponde Sara.
Ci lassi tutti suli però.