Ma quanto si sta bene in Francia?
Ma quanto si sta bene in Francia?
Mi rotolo sull’erba spettinando un bel po’ il campo di lavanda dove mi hanno organizzato un picnic, e neanche a volerlo fare apposta il prato è in leggerissima discesa. Perciò fa quasi tutto la forza di gravità, ma lo fa con una tale leggerezza e senza gravare più di tanto sulle forze di nessuno. E non comprendo, ma mi adeguo senza nessun accenno di protesta, come al rotolamento di ritorno alla tovaglia il terreno si disponga nuovamente in favorevole declivio. Certo che qui le cose o le fanno buone o non le fanno affatto.
Adesso bevo in certe coppe di cristallo – non era proprio piccolo il petit dejeuner – un vino fresco di ruscello che si manifesta soltanto alla bisogna, certamente per non guastare troppo la coltivazione che mi cresce attorno: i profumieri non sarebbero attrezzati per spillare vino di lavanda e anche quando, quale estimatore si spruzzerebbe addosso una fragranza che si potrebbe facilmente equivocare con l’eau de tavern?
Purtroppo a tratti un certo odore acre mi giunge alle narici guastando questa assoluta beatitudine, e adesso anche un telefono inizia a squillare impunemente, rischiando prima e riuscendo dopo un solo istante a rompere i miei più intimi e fragili cristalli. E’ davvero un segno incauto di irrealtà dentro tutto questo gaudio: non sarà cosa di Francia se si sta manifestando con questa cinica insistenza.
E trilla, trilla, trilla così forte e tanto a lungo che anche la coppa si infrange, il ruscello s’intorbida di aceto, e anche quella fresca, profumata vegetazione coltivata perde il suo magnifico color lavanda per assumere la peggiore tonalità di paglia rancida che esista e finisco per svegliarmi.
Non sarà cosa di Francia se si sta manifestando con questa cinica insistenza
Accendo il lume e guardo l’ora: le tre? La guerra, il terremoto o chissacché! Prendo il telefono:
– Pronto chi parla?
Nessuna risposta.
– Ma chi è?
Click.
Devo alzarmi alle sei e perciò mi rimetto a dormire. Riscivolo nel sonno sperando di ricomparire nella campagna transalpina precedente. Ma…
Driin, driin, driin. Mio dio, la testa si portò! Riaccendo: le tre e dieci.
– Ma chi è? Pronto?
Nessuna risposta. Ma cos’è questa puzza di gas?
In un attimo sono sveglio, mi alzo, corro e apro tutte le finestre. Sul fornello in cucina un tegamino ormai senz’acqua e il gas aperto senza fiamma: la camomilla della sera! Chiudo la manopola e vado alla finestra a riempirmi i polmoni di sano smog cittadino. Giusto quando l’aria dentro è di nuovo respirabile, il telefono torna a suonare.
– Pronto?!
– Hello mister Benedict? How are you?
– Eh? Chi? Parla italiano che devo assolutamente ringraziarti di una cosa!
All’altro capo del filo dopo qualche secondo la voce cambia, adesso è comprensibile anche se con un forte accento americano:
– Non zei mister Tarantino, Sen Frensisco?
– No qui Randazzo, Bagheria. Ma tu chi sei?
– Havers, sistemi of security for water and gas! Cerco Benedict Tarantino, Sen Frensisco, no signor Rendazzo, Begheria.
– Senti mister Havers, niente ci fa, non ti preoccupare. Piuttosto, quanto saranno le spese di spedizione dall’America fin qui, che non mi trovo tanta disponibilità?