La caduta di Alfredo tra i vicoli di Ballarò
La domenica del 23 dicembre 2007, secondo giorno di nozze, Alfredo perse la memoria.
Fu quando scese dal letto e non trovò la pantofola destra o quando aprì gli occhi e vide dalla serranda filtrare una lattea luce bianca, fu quando distratto strattonò la coperta scorgendo sul letto una informe struttura corporea di donna o forse quando si accese la sigaretta senza ricordare di avere smesso di fumare da anni.
Probabilmente fu quando alzatosi si guardò allo specchio sorpreso dalla folta capigliatura, incantato dal proprio straziante sguardo smarrito, dai peli che fuoriuscivano dalla giacca sgualcita di un pigiama troppo rosso scarlatto, o forse quando si sentì aggredito da un pensiero o quando da quella’visione improvvisa e immaginaria si mise a scrutare quel corpo femminile che in orizzontale occupava grande parte del suo letto, sorpreso da quel volto, scorse meravigliato tra le sue rosee labbra un sorriso di quiete che tanto contrastava con la propria inquietudine.
Di avere perso la memoria, infine, ne ebbe certezza quando la donna distendendo le braccia verso l’alto l’attirò a sé trapanando con la lingua la sua bocca.
Qualcosa di straordinario era accaduto, qualcosa di anormale era successo, certo non poteva essere così stupido da domandare a lei il motivo per cui si trovava in questa spiacevole situazione.
Acchiappò a caso veloce un pantalone e un maglione, scappò in bagno, accese la luce, aprì tutti i rubinetti, chiuse a chiave la porta, dischiuse l’anta della finestra, regolò con sapienza il proprio respiro, si lavò sommariamente, si pettinò e salto giù verso la strada, tre metri di vuoto per correre nel vuoto.
Una dolce caduta, quindi, lo accompagnò verso i vicoli di Ballarò.
Allenato fin da adolescente alla precoce intuizione, capì subito che da quel momento il suo futuro dipendeva dalla necessità di operare una scelta: inseguire la propria coscienza o l’impulso primitivo del proprio istinto? Tornare indietro, farsi aiutare, parlare con quella donna, affidarsi alla scienza o approfittare dell’incidente per assecondare un futuro diverso?
Alfredo arrestò il tempo, il suo tempo. Per molti giorni non chiese aiuto, non cercò nessuno, restò seduto nei giardini di Villa Garibaldi di Piazza Marina a scrutare il caos della vita degli altri, in lui una pace colpevole allattava mille desideri…
Di ritorno da Parigi per un viaggio di affari, il 17 Dicembre del 2022, Alfredo, vista l’ora tarda, decise di cenare in un ristorante di Via Maqueda.
Quando il cameriere arrivò nel salone, Alfredo fu scosso da un forte fremito, attonito e incredulo per ciò che vedeva. Un clone, il suo clone. Il cameriere era identico a lui, un gemello, un riflesso perfetto, una corrispondenza senza uguali, la rappresentanza reale del proprio doppio. Analogo tono di voce, stesso incedere dei movimenti.
Nessuna spiegazione convincente avrebbe potuto reggere allo svelamento della cruda realtà.
Impossibile, una somiglianza incredibile! Lo osservò per lunghi minuti, la stessa voce, identica andatura, uguale capigliatura, sguardo, bocca, naso… impossibile.
Si allontanò veloce cercando nelle tasche le chiavi della sua automobile.
Mise in moto e partì. Solo dopo pochi minuti in lui si fece strada il serio convincimento di avere assistito a qualcosa di fantascientifico.
I segreti riposano silenziosi dentro tane, nel buio avviliscono l’anima narcotizzando le memorie fino a quando un lampo improvviso può, come fulmine caduto dal cielo, illuminare la via per la loro fuga.
Abbagliato dalla luce Alfredo ebbe, così, chiara ogni cosa. Ricordò dei giorni vagabondi di Piazza Marina, della fuga e della caduta tra i vicoli di Ballarò, del giardino di magnolie giganti, del malevole proposito di impadronirsi della vita di un altro, rubare un’altra vita, scambiarla con furbizia e vigliaccheria, colpa di un destino informe e malvagio, truccato da scarno disadorno carro carnevalesco pronto ad abbindolare un innocente passato lì per caso. Erano trascorsi quindici anni.
“Aurora, cara, sto arrivando ceniamo insieme e poi andiamo al teatro, ti amo, a presto”. Chiuse il telefono e dopo un attimo, solo un attimo di perplessità, scoppiò a ridere, ridere, ridere a crepapelle, scuotendo il capo come una marionetta, traballando sulle molle del sedile, rise, rise sino all’ingresso del viale che conduceva a Mondello dove l’aspettava la sua famiglia: Aurora, la bella moglie e le due figlie.
“Accidenti che stupido! Deficiente e stupido! Scemo! Scemo! Scemo! Almeno potevo lasciare una bella mancia a quel cameriere!!!”