Se il mio cane potesse parlare
“Ah… se il mio cane potesse parlare, ne racconterebbe tante!” disse mentre si passava la mano sulla fronte per alleviare il fastidio lasciatogli dal cappello. L’amico dello zio, adesso molto anziano, aveva la voce impastata con il suono dei ricordi.
Il cane era così immobile da sembrare impagliato, se non fosse stato per qualche lieve scatto dell’orecchio destro, atto più allo scacciare una fastidiosa ed insistente mosca invece che a seguire con attenzione quei discorsi.
Lo ricordavo ancora un cucciolone, non ho mai compreso veramente come scorrono gli anni per i cani.
«È sempre seduto su quella sedia, il mio caro padrone. E ha ragione da vendere, potrei raccontarne davvero parecchie di cose.»
Ma i suoi occhi erano aperti, vigili, sembrava voler dire qualcosa, davvero.
«Si!» continuò con occhio vispo «Avrei davvero moltissime cose da dire, come di quella volta che il sonno tardava a calare sugli occhi del mio vegliardo padrone e, preso dalla rabbia afferrò il mio guinzaglio e mi disse tuonando “Amunì, andiamo a fare una passiata per far svagare i pensieri, non ce la faccio più!” ricordo che faceva davvero caldo quella sera.»
La sera di cui parlava era una sera di quelle che tutto il paese ricorda. Di anni ne sono passati veramente tanti.
«Camminammo per un paio d’ore, lo ricordo bene perché arrivammo fino al limitare della piazza e da casa nostra in periferia, la strada per arrivare fino a lì, è davvero lunga.»
Quella sera in paese c’ero anch’io, un ragazzetto arruffato di quindici anni. Ero ospite a casa dello zio per il periodo delle vacanze estive, e in quel preciso istante di quella sera io ero a letto.
«Arrivammo a quelle casette basse, staccate una dall’altra. Conoscevo tutti gli odori di quel posto, sapevo riconoscere persino la puzza di quello stupido cane che viveva con il Sindaco che doveva per forza pisciare dove piscio io. Ero lì, intento e concentrato a ricambiare la sua invadenza quando mi accorsi che nell’aria c’era qualcosa di diverso.»
In paese si vociferava su una di quelle case in particolare. Quella messa peggio di tutte. Le altre, alcune erano abbandonate, alcune erano ben tenute proprio per trascorrere la villeggiatura.
Ma quella casa in particolare non era ben vista.
In quella casa morì don Ignazio. Chi diceva per cause naturali, chi ipotizzava una qualche malattia, chi supponeva fosse morto a causa di “un debito” con qualcuno.
Sta di fatto che da quella casa, ormai disabitata da un paio d’anni, una sera iniziarono a farsi sentire dei rumori.
Non erano rumori forti, erano appena percettibili. Così brevi da rendersi conto di averli sentiti solo perché veniva il dubbio provenissero proprio da lì.
Mobili spostati, sedie, qualche piccolo oggetto cadere, acqua che scorreva.
In paese si iniziò a pensare che, in qualche modo, don Ignazio non avesse del tutto lasciato la sua dimora terrena.
Nessuno aveva il coraggio di sapere se fosse effettivamente così.
«Iniziai ad abbaiare in direzione della persiana con la vernice verde rovinata dal tempo. Il mio padrone era infastidito da quel mio comportamento, ma avevo bisogno della sua attenzione. In quella casa stava accadendo qualcosa. Iniziai a strattonare il guinzaglio, ma lui affrettò il passo per andare via da lì il prima possibile. Ma ecco che all’improvviso si fermava anche lui con aria incredula, forse ero riuscito a farlo comprendere.»
Era quasi impercettibile quello che videro entrambi col favore del buio. Una piccola luce, molto fioca e tremolante, proveniva dall’interno di quella abitazione.
L’amico dello zio corse via insieme al suo cane, arrivando davanti alla caserma del paese e buttò giù dal letto il Maresciallo.
«Mentre loro discutevano io ripresi ad abbaiare, iniziai a dire al Maresciallo cosa avevo visto e tiravo il guinzaglio andando verso quella direzione. Ma non mi davano retta quei due. Dannazione!»
Il Maresciallo quella sera si rifiutò di dar retta a quel vecchio agitato. Lo invitò ad andare a letto; sicuramente a sollecitare la sua immaginazione, era stato qualche bicchiere di vino di troppo bevuto a cena o, proprio a causa dell’ora tarda, la stanchezza che iniziava a farsi sentire e fare brutti scherzi.
«Finalmente il mio padrone decise di darmi retta, tornammo a passo svelto davanti quella casa, sentivo ancora qualcosa nell’aria, ma cosa? Iniziai ad abbaiare nuovamente, ma stavolta sentivo la puzza della paura provenire da lì. C’era qualcuno.»
Da dietro la persiana si sentì qualcuno fare sssshhhhh. L’amico dello zio rabbrividì.
“Don Ignazio… Siete voi?”
Una voce debole, piccola, rispose di no.
«Il mio padrone ed io corremmo via. Io volevo restare, tiravo quel guinzaglio fino a farmi male, ma arrivammo comunque a casa in pochissimo tempo, nemmeno avessimo avuto le ali!»
Il giorno dopo l’amico dello zio tornò in caserma nelle primissime ore del mattino. Madido di sudore e con gli occhi rossi e gonfi. Non aveva chiuso occhio, era terrorizzato.
Raccontò l’accaduto al Maresciallo che tentò di rassicurarlo ancora una volta ma senza riuscirci. Venne supplicato di intervenire, di fare qualcosa, di controllare quella casa che sembrava maledetta.
Era raro che, in un paese di campagna come quello, entrassero in azione le forze dell’ordine senza che nessuno venisse a saperlo e senza che il solito corteo di curiosi seguisse tutta la vicenda minuto per minuto, come fossero al cinema.
Una folla di curiosi arrivò in un silenzio religioso davanti alla casa di don Ignazio, in tutto una ventina. Gli operai, sotto indicazione del Maresciallo, iniziarono a forzare quella persiana rovinata dal tempo e dall’incuria.
La persiana si aprì grazie alla pressione di un piede di porco, la polvere non aiutava a vedere verso l’interno buio. I Carabinieri entrarono cautamente, torce a batterie in una mano, e pistola nell’altra mano, non si poteva mai sapere.
Apparentemente il nulla.
«Lì, guardate! Mi misi ad abbaiare come un forsennato. Avevo visto qualcosa di minuto fuggire nell’ombra. Lì! Correte! Proprio lì!»
I Carabinieri vennero scossi dal forte abbaiare; il cane dell’amico dello zio aveva visto o sentito qualcosa, e abbaiava in direzione di un’apertura che dava direttamente sulle scale che portavano al piano di sopra.
Nel trambusto si riuscì comunque a sentire un rumore provenire da quelle scale; qualcuno stava scappando!
Si tuffarono all’inseguimento di quei passi svelti urlando l’altolà, ma non vedevano nulla, nessuno rispondeva.
Erano giunti al piano superiore nel giro di pochi secondi. Troppo buio.
Uno di loro però si bloccò di fronte a qualcosa che lo lasciò quasi di marmo: un leggero filo di luce filtrava da una delle finestre sbarrate; era una sagoma piccola quella che riusciva ad intravedere, il Carabiniere toccò il braccio del collega e gli disse di guardare in quella direzione.
Quella sagoma, forse sentendosi scoperta, iniziò a muoversi molto lentamente nella loro direzione.
Chi era sulla strada in attesa di capire cosa stesse accadendo sentì intimare l’ennesimo altolà.
Partì un colpo. Un urlo straziante fece gelare il sangue a tutti i presenti.
Chi fosse quel piccolo corpo minuto, di come fosse arrivato in quella casa e del perché vivesse lì, in quel modo, segregato al buio, non si venne mai a sapere.
Poco dopo, i rumori tornarono ad infestare quella casa.