La moto dei miei sogni
Ieri notte mi devo essere svegliato. Posso dirlo in tutta certezza perché mi sono ritrovato per la strada, sportivissimo vestito tanto da non sembrare io; saranno state le due, due e mezza della noche, ed ero davanti alla putìa del signor Giannone a guardare le vetrine, anche se a dir la verità pensavo fosse morto da dieci anni perlomeno, perché così mi avevano raccontato i moto muniti di tutta la città, o almeno quelli che al suo funerale c’erano andati e avevano poi aspettato fino alla fine, per essere sicuri di riferire una notizia certa, cioè fino a che lo scalpellino non ci ha posato la balata sopra e amen, per omnia saeculorum. Ma intanto io me lo sono trovato lì davanti, col suo spezzato grigio e il blazer blu, tutto sorridente con quei denti d’oro bianco e fine porcellana d’India, io che non ho mai guidato una moto in vita mia, che posso dirti, nemmeno un Ciao, neanche un salutino, una Vespa, un Benellino. Niet, neanche quello ho mai guidato.
Epperò contrattavamo un motorone dieci Hp tutto cromato e scintillante della bella. Certamente lui era spinto dalla proverbiale sete di guadagno che in dieci anni lo aveva incoronato imperatore delle moto di Palermo, ma io? Io da che cosa potevo essere motivato? So soltanto che ho contato uno sull’altro venticinquemila euro, tutti in contanti e in banconote dai colori che non avevo mai veduto, una sopra l’altra, un malloppone che ci son voluti dieci minuti buoni per depositarli sul suo palmo aperto e ansioso di richiudersi ad artiglio. Il signor Giannone adesso può star tranquillo, almeno per stanotte ha scacciato via la crisi e non chiuderà i battenti. Gli avevo ricordato, sperando in uno sconto che non è arrivato, il vespino blu che da lui avevo comprato per mio figlio e lui, fingendo di rammentar la scena, mi disse “Ah sì e come va, come va?”. “E come va?
venticinquemila euro, tutti in contanti e in banconote dai colori che non avevo mai veduto
Cosa vuole, è per via di questa città a cui vogliamo bene ma che tanto ci addolora!
Improvvisamente e per fortuna, come un po’ accade nei sogni, si è fatto così tanto giorno che mai tanta gente si era vista per le strade. In qualche modo consapevoli della mia scarsezza, tutti si scansano e sfilano lesti, chi a sinistra e chi alla mia destra, ma graziosi e allineati in linea retta: sfila mia moglie e sfilano i bambini, sfila il ranocchio con la coroncina in testa e a debita distanza la principessa Nicolina che non lo vuol baciare perché nemmeno per i selfie toglie mai la mascherina. E sfilano tre Dieghi eccezionali: Maradona, Abatantuono e addirittura De La Vega. Fosse stato Zorro e non la sua identità segreta, sul cavallo nero e col suo lazo al volo avrebbe fermato quella scoppiettante dittatura. Ci vuole un attimo e lasciamo la città, scaliamo un monte, attraversiamo la campagna, senza mai sterzare e senza rallentare. Quanto vorrei avere adesso addosso il telefonico recapito del signor Giannone, gli chiederei intanto quanto ci ha messo di benzina e poi se mi potesse usare la bontà di leggermi il libretto di istruzioni per guidarla, e possibilmente in italiano.
E adesso sto provando nuova ansia: spero proprio che non abbiano ragione i terrapiattisti! Sai che cacarella vedere avvicinarsi l’orlo, il grande abisso per cadervi dentro con quella moto nuova e scintillante della bella, bruciando i venticinque bigliettoni che non so come cazzarola io li abbia mai trovati?