È tutta una questione di arancine
Le arancine, si sa, “su cummattusi”, devi iniziare a preparare tutto di buon’ora, se non addirittura il giorno prima.
Ma è una tradizione alla quale non vorrei rinunciare per niente al mondo.
Non tanto per le arancine in sé, ma per il rito che ogni anno mi vede seduta di fronte a mia madre. Io da un lato del tavolo e lei all’esatto lato opposto al mio.
Quel sapore che esplode in bocca e che ti riporta tra colori e odori di tanti, ma davvero tanti, anni passati; tra famiglie e discendenze di ogni rango e classe sociale, tutte accomunate da una cosa sola: la tradizione, il rito.
Ne addenti una e nasce, proprio al centro del petto, quel giusto armistizio che compensa tutte le ore dedicate alla minuziosa preparazione di ogni singolo componente: si parte dal riso, il quale deve essere minuziosamente vigilato durante la cottura “Va sinnó s’appigghia”.
Ma alloro sì o alloro no? E non dimentichiamo lo zafferano, una o due bustine, in polvere o i pistilli?
Fai la besciamella, ma falla densa, ti raccomando e mettici il pepe! Per non parlare della noce moscata.
Ed eccola lì, pronta in agguato, quell’ansia da prestazione come se fosse sempre una prima volta
“Mammà… Che dici il cacio ci va?”
Come mia madre, anche la nonna metteva una bella manciata di parmigiano grattugiato e anche un bel pizzico di sale perché, si sa “Grevio si mancia ‘o spitali”.
E poi fai il ragù “Pì cortesia, fallu tu che già mi sentu cunfusa!”
Il soffritto è sacro, e “T’arraccumannu…” si deve usare assolutamente il concentrato di pomodoro. L’importanza del ragù, da usare per l’arancina, è il suo essere asciutto e cremoso, dal sapore forte e avvolgente. Il suo profumo deve assolutamente inebriare tutta casa, altrimenti si rischia di non rendere giustizia all’ingrediente “Re”!
Ma a dire il vero, le scuole di pensiero sono due: Abburro (al burro) o Accarne (alla carne). E, come in ogni corrente artistica o filosofale (perché di arte qui si parla), ci sono gli eterni indecisi o chi, per questione di principio, non ama schierarsi e le ama, con gusto, entrambe.
E al mattino apri gli occhi con la testa già lì, l’assemblamento del tutto, e si materializza nelle narici quel ciavuro di frittura, quel profumo inebriante e tipico.
Ed eccola lì, pronta in agguato, quell’ansia da prestazione come se fosse sempre una prima volta, ma ti sgranchisci le dita e apri le danze: mani inumidite, riso in una mano a conca, vai di condimento, compatta, dai la forma o almeno ci provi, compatta, compatta bene che poi si apre (“Va bene così mammà?”); tuffali nella lega fatta di acqua e farina bella densa, ti raccomando, e poi lo sposalizio con il pangrattato, per gli amici muddica…
“E friggetevi, belle mie, ho lo spinno da ieri!”
Poi la addenti, ancora calda, ma non troppo altrimenti non c’è prio e i sapori non si distinguono, chiudi gli occhi, mamma sorride e nonna è di nuovo qui.