Racconti di evasione – Il mare
Oggi siamo qui.
Ci sono gli scogli, il castello Ligny di Trapani in lontananza, una strada lunga che porta fino a lì; c’è una famigliola numerosa fatta di bambini e zii e nonni che si scattano foto al tramonto lungo il belvedere.
Pochi turisti imbambolati dall’orizzonte, seduti qua e là nella passeggiata.
Ci guardiamo mentre finiamo di fumare e sorridiamo.
Le giornate migliori sono queste, le chiamiamo quelle della fuga.
In settimana a malapena riusciamo a parlarci con tutta questa infinita tempesta che è il mio lavoro.
Ogni tanto riusciamo a fare due chiacchiere a cena, ma tra il calcetto, il telefilm da vedere, che prima è un paio di puntate e poi si finisce alle tre, le lezioni di yoga, il volontariato, la spesa da fare, mi sembra che non ci conosciamo affatto. Eppure sono tanti anni che sembriamo una persona sola.
Ai meccanismi che compongono la quotidianità strana del nostro mondo, contrapponiamo delle rivoluzioni, piccoli trionfi che voglio far sembrare imprese epiche: sono niente lo so. Da tempo parliamo della necessità di un cambiamento, di aprire un bistrot e proporre vini e avere più tempo per amarci e fare quello che amiamo.
Succederà. Io dico sempre che succederà anche se ti vedo alzare gli occhi al cielo.
Io la mia rivincita oggi ce l’ho qua, insieme, non mi sembra poco.
Oggi abbiamo preso la macchina. Dentro ha visto tempi migliori, povera, il disordine delle nostre vite si riflette perfettamente in quel disastro cosmico. C’è anche una bottiglia di vino vuota del capodanno scorso che ci portiamo ormai in giro come un amuleto, tutte le confezioni di cioccolatini che vai lasciando in giro, scatole di sigarette vuote, i vecchi CD, alcune custodie abbandonate.
Odio quel disordine.
Quasi sempre; ma penso spesso a quanto potrebbe mancarmi. Il disordine delle nostre vite si riflette perfettamente in questo strano disastro.
Abbiamo messo di nuovo il CD di Tracy Chapman ed è partita Change. Sorridiamo e cominciamo a cantare.
Oggi la torre di Ligny è bella davvero, più del solito.
Non mi interessa che non sia il miglior posto balneabile di Trapani, volevamo soltanto essere giovani di nuovo, metterci qua senza tanti complimenti con i teli di paglia, le infradito, uno zaino, fare un tuffo se ci va, i cruciverba, chiacchierare dei libri che stiamo leggendo, ricordarci di quanto è bello stare insieme.
Ora al tramonto abbiamo la pelle sporca il giusto, salata, stanca. Due bottiglie di birra mezze vuote accanto e un contenitore con olive verdi condite ormai quasi alla fine.
Il pane l’abbiamo preso al forno, oggi niente pane cunzatu, magari al ritorno.
Qualche noce pesca, pistacchi.
È bello questo scenario insieme a te, te lo dico.
So che spesso hai paura di dire qualcosa in più e che tutto sembri ridicolo. Il cinismo delle vecchie abitudini ti spaventa.
Magari saltiamo il pane cunzatu e andiamo dritto per la nostra strada a cercare la pizza di Calvino e poi un gelato da Liparoti. Oggi esageriamo che poi magari diventerà tutto un po’ meno possibile.
Quando mi circondo di così tanta perfezione ho la sensazione di poter perdere tutto in un attimo. La fragilità mi spaventa.
Tu hai lo sguardo sereno, magari ti lasci abbindolare un po’ meno dall’ansia.
Sai godere perfettamente di quanto di bello hai attorno nel presente, è la cosa che mi piace di più di te.
Finisci la birra, mi guardi e sorridi.
Che bel sorriso che hai, te lo dirò più tardi. Mi tengo tutto questo nostro mondo e lo abbraccio forte in silenzio.