correre
Pensavamo di trovare un modo per navigare sotto l’acqua della luna che ci colava sulle facce stanche. Credevamo di navigare per sempre.
Avevo chiuso lo sportello con un rumore piccolo nudo a margine del guardrail e avevo guardato di sotto, un tizio si era buttato appena due giorni prima, e io cercavo le tracce della morte, un buco nel terrapieno, l’erba schiacciata, un fiore. Ma non vedevo nulla.
Metti il giubbotto catarifrangente cretina, mi ero detta con la solita voce che riusciva a riportarmi alla razionalità.
Zitta, sto cercando e non me ne frega niente di sembrare la testa di un fiammifero nel buio. Voglio essere buio. La musica fuoriusciva dalla lama aperta del finestrino perché mentre guido, ho bisogno di sentire il rumore della strada.
Non vedo nulla. Dove sei finito? T’immagino mentre graffi le gambe con la lamiera. Ci sono lavori in corso, l’autostrada si rinnova, la mattina è un caos. Sembriamo tartarughe di metallo che sbavano lungo il cemento. Arrivo al lavoro già stanca. Non è sufficiente una barriera metallica, ci si passa attraverso. Che cosa indossavi? Ma che cosa t’importa, cretina?
Di nuovo. Taci. Tutto ha importanza.
Avrei dovuto portare una torcia. Il rumore delle quattro frecce mi logora. Non vedo nulla e la luna continua a scolarmi addosso, allargo il colletto della camicia e lei scende più giù insieme al ricordo che ho di te, appena un trafiletto sul giornale.
Che cosa è successo? Non rispondi.
Guardo di sotto e mi risponde la coltre di oscurità. Che cosa mi aspettavo? Una lampadina al neon lampeggiante: fine dei giochi.
Ripasso oggi su quel ponte, è mattino presto e le poche auto corrono come se il coronavirus le stesse inseguendo. Non correre cretina, se ti deve beccare, lo farà lo stesso.
Vado piano, al lavoro. Non ho mai impiegato così poco tempo. D’accordo, non corro, non è prudente e se lo facessi, non riuscirei a vedere il lembo di mare e monte Pellegrino che ogni giorno ha un colore diverso e tu così capisci come sarà il tempo.
Adesso le tracce della morte sono nel vuoto delle strade, negli sguardi vacui riempiti dalla paura, dal dubbio. Tutti potenziali untori.
Nessuno ti ha fermato allora, io non mi fermo adesso. Divoro la striscia bianca come se fosse la cura per questo male che è il tempo. Ripenso a te che hai deciso che era tempo di andare e hai risparmiato a te stesso una preoccupazione, ma hai dispensato dolore a chi è rimasto.
Sai adesso siamo noi gli immobili, i reclusi in angoli inebetiti dai lampi della tv, da film che ripetono azioni impossibili, adesso cerchiamo di riempire i nostri vuoti con del cibo che potrebbe perdere sapore da un momento all’altro. E ogni volta che percorro il ponte, penso a uno sconosciuto.
Siamo più di un trafiletto sul giornale, siamo la notizia continua. Non esiste altro.
Io però vado, mi bevo il mare con gli occhi e sorrido sotto questa mascherina.