Qual è la tua (bella) storia?
Ho alcune storie da raccontare.
Un pomeriggio hanno suonato alla porta. Per ora il mio corpo regge poco alle incertezze e alle sorprese. Mi sono affacciata al balcone preoccupata da questa novità e da lontano ho visto una mia amica che mi faceva ciao dal cancello; corro al citofono e le dico, tutto bene? Lei mi risponde sì, ho un pensiero per voi, lo lascio di fronte alla porta.
Era una scatola con dentro 6 uova delle sue galline, una rosa del suo giardino, delle arance e una bottiglia di succo di frutta fatto in casa. Un bigliettino con un cuore disegnato diceva “andrà tutto bene”.
Quando tutto è scoppiato in Lombardia, il Piemonte subito ha preso la rincorsa ed è stato forse grazie a una reazione tempestiva se le cose non sono diventate gravi abbastanza velocemente come è successo alla regione nostra vicina. Dopo i primi tre giorni della prima quarantena non riuscivo più a trovare le mascherine.
Hanno trovato una porta spazio temporale dove tre fusi orari diversi e sei famiglie riescono a intrecciarsi tra il Texas, la Colombia e l’Italia.
Questa storia delle mascherine è tra le storie più divertenti (si fa per dire) di tutto questo pandemonio; se ci fate caso, riflette perfettamente quello che stiamo vivendo dalla fine di febbraio a questa parte: mettetele! Non mettetele! Mettetele! Contro-ordine non mettetele! Ho due genitori grandi e mi sento abbastanza in apprensione, la faccenda delle mascherine riguardava loro più che me. Le cercavo, non sapevo come trovarle, dove, come farle arrivare a casa. Per non farmi fregare, chiedo aiuto a un amico in Sicilia esperto di e-commerce, su come comportarmi nel caso fossi riuscita a trovarle on-line.
Vuole sapere per chi sto cercando le mascherine, io rispondo che si tratta dei miei genitori, che dovrebbero uscire a comprare le medicine. Mi risponde circa due giorni dopo chiedendomi l’indirizzo dei miei, perché ne ha due in più e può mandarle subito.
Le invia immediatamente e qualche giorno dopo in Piemonte arriva una di quelle sorprese alle quali prima non avremo degnato più di due secondi di attenzione.
Ogni lunedì da circa tre settimane, sei amici del liceo, che non si vedono insieme da vent’anni, mettono da parte impegni, bambini e ansie; si versano un bicchiere di vino e si incontrano in chat per dedicare mezz’ora a parlare, ricordare e ridere.
Hanno trovato una porta spazio temporale dove tre fusi orari diversi e sei famiglie riescono a intrecciarsi tra il Texas, la Colombia e l’Italia.
Ridiamo moltissimo ricordando. Abbiamo conosciuto i nostri bambini, abbiamo imparato bene i loro nomi e ci siamo ritrovati uniti, come non capitava da tanto in mezzo a questo oceano indecifrabile. Senza bisogno di aerei, viaggi, agende.
Due settimane fa in pieno lancio verso questa realtà che ci ha portato marzo, in una Regione che ritengo moderna e in un paese europeo nel 2020 non mi sarei mai aspettata che un medico di famiglia non fosse in grado di mandare una ricetta tramite email. Non so farlo, non posso farlo, non posso farlo, non posso farlo.
La ricetta in questione mandata via email permetteva che un arzillo e anarchico ottantenne stesse a casa senza bisogno di andare a prendere le medicine in farmacia.
Non so farlo, non posso farlo.
Quindi al di là di tutti i commenti che le persone facevano a prescindere (forse senza aver nemmeno provato davvero a chiamare), ho consultato una fonte certa e ho risolto.
Oggi sto cercando di comprendere le paure degli altri. Sono le stesse mie. Cerco di inquadrare una risposta frettolosa, uno sguardo irritato, perché sono gli stessi miei. Ho smesso di aggrovigliarmi davanti a una dottoressa di famiglia, magari quasi anziana anche lei, fragile, terrorizzata e lasciata bene o male a se stessa davanti a un’emergenza che non immaginava nemmeno nei suoi peggiori incubi. Avrebbe dovuto saper reagire meglio? Forse sì: ha scelto lei la sua professione, dopo tutto; ma nell’economia dell’essere sinceri con noi stessi, mettendoci nei suoi panni, non possiamo affermare con certezza di conoscere quale sarebbe stata la nostra reale reazione ad un evento drammatico come questo.
Non mi lascerò andare, qualunque siano il mio credo, le mie idee, le mie emozioni disfunzionali, a ridurre tutto a un complotto, una razza, un colpevole.
Dopo giorni di chiamate a un numero che prometteva aiuto alle persone anziane in difficoltà, ricerche, studio di strategie, trovo un piccolo avviso nella pagina Facebook della Regione Piemonte. La protezione civile aveva organizzato un servizio di consegna e anche se nei commenti al post i temi prevalenti riguardavano la mancata risposta e la veridicità del numero, ho fatto un altro interessante esercizio sviluppato negli ultimi tempi: ho consultato la fonte diretta, senza passare da link condivisi mille volte e senza fermarmi sui commenti di terza mano, decidendo infine di utilizzare quel numero.
Mi ha risposto una donna dalla voce gentile: in 48 ore l’arzillo nonno aveva le sue medicine di fronte alla porta. Senza aver avuto contatti con alcuna persona al mondo.
Quindi al di là di tutti i commenti che le persone facevano a prescindere sotto un post di Facebook (forse senza aver nemmeno provato davvero a chiamare), ho consultato una fonte certa e ho risolto.
Sono storie belle, semplici. Ho da raccontare questo, vostro onore. Queste storie mi hanno fatto sorridere, credere, respirare.
Io di questi tempi ho bisogno di cancellare quel cinismo che mi porto addosso e che va crescendo con l’età. Non mi avrà.
Non mi lascerò andare, qualunque siano il mio credo, le mie idee, le mie emozioni disfunzionali, a ridurre tutto a un complotto, una razza, un colpevole.
Non mi abituerò ad avere paura.
Ci sono anche le storie belle. Le lezioni di vita. La morale delle favole. I gesti gentili. Le buone notizie. La speranza.
Though I know I’ll never lose affection
For people and things that went before
I know I’ll often stop and think about them
In my life, I’ll love you more