Il tempo sprecato di Alfredo
Alfredo ripose sullo scrittoio gli occhiali, quelli da lettura, bordo giallo, montatura ampia spaziosa.
Hai gli occhi rossi! -disse Sara- ti stai stancando con queste letture. Sprechi il tuo tempo, sarebbe ora che ti vestissi, facessi una doccia, la barba e dedicassi a me la tua attenzione… vuoi davvero trascorrere così le tue giornate?
Dopo che il tempo si era fermato, nulla poteva essere come prima, la disciplina che regolava l’ordine degli eventi, pensò Alfredo, ormai sfuggiva alla combinazione matematica. Il futuro, infinito, era un incerto tempo privo di contenuto.
L’irrisolvibile incognita minacciava la vita quotidiana, ad Alfredo piaceva vivere sulla zattera del momento, vagabondare in quello spazio aperto galleggiando, come una piacevole eterna avventura. Immaginava il proprio futuro per fabbricarsi una nuova memoria, visto che gli antichi ricordi si sfilacciavano giorno dopo giorno.
Quel pomeriggio scivolava giù fiacca la primavera dal Monte Pellegrino.
Immerso in quel gradevole disordine, però, quel pomeriggio accadde un fatto straordinario, inspiegabile: non riusciva ad afferrare la tazzina di caffè. Pollice indice non si infilavano nel manico ad ansa, ma anche le pantofole non si incastravano più perfettamente ai piedi.
Ho deciso! Andiamo al cinema! Gridò dalla camera da letto Sara.
In preda al panico, Alfredo si chiuse in bagno scorgendo allo specchio che le sue ciglia si erano allungate oltre misura, erano di un colore strano bianco giallo e di una rigidità sproporzionata. Adesso quella strana dura peluria sporgeva anche dalla sua bocca. Oh! Oh! Oh!
Anche il petto, ben allenato, flessibile, muscoloso sembrava essersi ristretto oltre misura, rotoli di membrana grassa macchiavano di umido la sua felpa, quella eroica della squadra di pallavolo. E peli, peli grigi e scuri, ovunque. No. No. No. No!!!
Sono chiusi, gridò dal bagno Alfredo. I cinema saranno ancora chiusi.
Allora andiamo a mangiare una pizza? Replicò Sara.
Lo specchio non dava tregua. La bocca si era allungata, i denti si erano ritirati dentro le gengive e l’unica cosa di cui aveva voglia era quella di leccare le piastrelle del pavimento, graffiare l’asciugamano e l’accappatoio. Era tempo di affrontare la realtà.
Uscì. Come avrebbe reagito Sara, pensò. Alfredo era consapevole di non essere in grado di spiegare cosa fosse successo. Si sarebbe spaventata? Avrebbe chiamato la Polizia o sarebbe scappata urlando giù lungo le scale… inutile perdere tempo. Non poteva più nascondersi.
La guardò, si guardarono.
Non iniziare a prendere scuse per restare a casa… io voglio vedere gente, fare qualcosa, non fare il solito misantropo… tu, tu sei sempre lo stesso. Sara parlava, lo guardava fisso arrabbiata rossa in viso mentre con lesti movimenti tirava su i suoi collant, stirando le gambe lungo il divano. Sei egoista… cattivo… fai come vuoi, io esco. Con te o senza di te.
L’istinto gli consigliò di stare fermo e di non parlare. Aveva solo il desiderio di leccarla, di mordere il bordo del tavolino e di saltare dalla sedia verso la libreria. Così, invece di risponderle a tono, lanciò un sibilo, almeno così a lui sembrò: zzzzttttttzzzzztttt. Accucciato, quindi, a quattro zampe con la coda bassa, sì gli era spuntata pure una coda flessibile come una frusta da cocchiere, strofinò la testa abbuffata sopra il velluto del divano, s’avvicinò a Sara e iniziò a leccarla.
Dai finiscila. Preparati, tra poco bussano Gino e Elis, andiamo a ballare…
zzztttttzzzzzttttt