La signora Pink
Eh sì, la questione era arcinota.
Un assioma, un trucco senza trucco da mago con la scatola di cartone e una sagoma di coniglio.
Doveva morire! Questo pensiero aveva occupato sempre uno spazio nella sua testa coriacea, bisogna dire che non era preoccupata dal morire in sé ma dall’avere tutto sistemato per benino come piaceva a lei.
Un’esistenza banale resa speciale dalla mania per l’ordine. In quella sua casina piccola come un ditale non c’era un filo fuori posto e anche la polvere era pulita.
Orari, regole, ogni cosa al suo posto anche il marito, e questo che cosa aveva fatto?
Era morto prima di lei! Ma come si era permesso? Questo non era previsto chi avrebbe eseguito le disposizioni che lei meticolosamente predisposto con perizia notarile.
La vestaglietta di cotonina leggera rosa, la camicia in madapolam giallo canarino e le ciabatte quelle nuove di zecca, che senso avrebbe avuto lasciarle a qualcun altro?
I capelli ben acconciati, gli aveva lasciato anche le istruzioni per arricciarglieli con il ferro. Tutto in ordine e in bella vista.
Sai, dove trovare ogni cosa, vero caro?
Glielo ripeteva ogni sera assieme alla buonanotte.
Che gli uomini, le cose non le trovano neppure se gli franano addosso.
Sì, mia cara.
Non si scandalizzava più per la sua mania. Non aveva fatto più storie e nemmeno scongiuri, forse in cuor suo non vedeva l’ora di assolvere l’incombenza.
Bene caro. Buonanotte.
E invece se ne era andato lui. Si era accasciato sul bancone del verduraio mentre sceglieva una verza non troppo grande, ma nemmeno troppo piccola, abbastanza tenera, ma anche abbastanza consistente. Era caduto tirandosi addosso verdure umide e lucide. Il cappello gli era rimasto sulla testa composto e rigido.
Lo aveva accompagnato nel minuscolo cimitero cittadino, dove la sua foto faceva adesso bella mostra tra i suoceri e la zia morta nubile a novantadue anni.
Cosi a causa della non programmata dipartita del marito era costretta ad andare in giro con una valigetta ribattezzata “le ultime ore” o valigetta del commiato. Dentro aveva il necessaire per l’ultimo viaggio. Si teneva lontano dai posti affollati e dai negozi di frutta e verdura sgomenta dalla mancanza di buon gusto che aveva avuto il marito nel momento del trapasso.
Nel quartiere era nota a tutti la sua figuretta smilza con la valigetta che non mollava mai.
L’individuo che gliela strappò di mano non era sicuramente del posto. Lei stava facendo ritorno dal tè del comitato di beneficenza della parrocchia. Lo scippatore non calibrò bene le forze e la fece cadere, fu come strappare un fuscello sebbene lei cercasse di opporre resistenza, non aveva mollato subito. Il contraccolpo la spedì con violenza contro il marciapiede. Prendi la borsa, la valigia no! Ebbe appena il tempo di gridare.
Ma questo non fece altro che rafforzare nel ladro l’idea che ci fosse qualcosa di prezioso nella valigetta.
Molla l’osso vecchia!
Cadendo le era volato via il cappello, un pennacchio di fiori rosa e arancio aveva tagliato l’aria poco prima che il suo mucchietto d’ossa in abitino grigio perfettamente stirato restasse inanimato, la bocca spalancata per lo stupore. Non ci furono testimoni.
Fu composta con lo stesso abitino grigio ora spiegazzato che aveva indosso al momento dell’aggressione e senza una scarpa perché non riuscirono a trovarla.
Anche i capelli erano in disordine.
L’impresa delle pompe funebri poterono ottemperare soltanto in parte alle disposizioni. Cercarono una valigetta che nessuno riuscì a trovare. Povera signora Pink, la morte del marito doveva averla destabilizzata, lei così ordinata e precisa.
Il furfante che l’aveva derubata pensò che se l’era voluta e che era stato un incidente. Vuotò il contenuto della valigia in un bidone della spazzatura.
Roba da donne.