Il senso di Simone per il virus
“Vare! Vare! Redde mihi legiones!”
La capacità di Simone di seguire le lezioni degli insegnanti ha sempre lasciato a desiderare. Se qualcuno glielo chiedesse, cosa alquanto improbabile, Simone potrebbe raccontare un sacco di cose sulle abitudini mattutine degli abitanti del condominio di fronte alla finestra della sua classe. E tuttavia ci sono mattine in cui gli insegnanti potrebbero presentarsi in classe con i genitali in bella vista e Simone non si accorgerebbe di nulla, se non per gli schiamazzi dei compagni. Come non bastasse la sua frivola mente, ora c’è questa cosa del coronavirus e le lezioni da seguire da casa. Ieri, ad esempio, ha visto che sulla piattaforma delle lezioni ci stava pure Evelina. Evelina una pausa la merita sempre. Allora Simone ha preso lo smartphone ed è andato in bagno. Però era indeciso se digitare “Evelyna04” su Instagram o su TikTok.
Poi incrociano il libro di storia aperto alla destra del PC. Teutoburgo, 9 d.C. Vare! Vare! Redde mihi legiones. No dai, oggi no
Meglio TikTok. Una gran scocciatura i genitori sempre in casa. La casa è piccola e i passi sembrano dirigersi verso il bagno. Forse sarebbe stato meglio chiudere a chiave. Le mani vanno sempre lavate. In questo caso le avrei lavate comunque, ha pensato Simone mentre il sapone liquido scendeva sul palmo della sinistra. Poi è tornato al computer. Il prof di chimica c’era. Evelina pure e anche gli altri. Lui ha fatto un paio di sospiri e si è ributtato nella mischia. La videolezione di oggi è di matematica e a Simone di matematica frega anche meno di chimica. Un’occhiata allo smartphone di fianco alla tastiera del PC. E se Evelyna04 anche oggi? Un paio di storie su Instagram le deve aver messe. Figurati se sta un giorno senza mostrare le chiappe. Simone si morde il labbro e accarezza il laptop del telefono con l’indice. L’altra mano in avanscoperta, in cerca di facili conferme. Smartphone. Computer. Smartphone. Gli occhi flippano tra uno schermo nero venato in più parti e un viso di cinquantenne annoiato con barba non curata e brizzolata. Poi incrociano il libro di storia aperto alla destra del PC. Teutoburgo, 9 d.C. Vare! Vare! Redde mihi legiones. No dai, oggi no. Poi c’è pure il fatto che suo padre è appena andato a cagare. Un odore ci deve essere in quel cesso. Ma vaffanculo Evelina.
È successo tutto così in fretta. Il sabato la campanella è suonata e ciao ciao ci si vede lunedì. Solo che il lunedì non è mica mai arrivato. Il virus. Sì, il virus era in giro già da un po’ di giorni, ovvio, però mica si era capito fosse una cosa così seria. Alla Tv sostenevano ammazzasse solo i vecchi. È vero che chiuderanno la scuola? Cosa c’entriamo noi con i vecchi, Prof? E il Prof di inglese aveva grattato la barba e tirato il collo verso destra. Lo faceva sempre quando non sapeva che cazzo rispondere. Doveva essere una settimana. Poi due, poi tre. Alla fine ci si annoia anche di stare a casa e giocare a Fortnite tutto il giorno. E si finisce per rimpiangere i viaggi in autobus stipati come sardine, le file all’intervallo per sganciare un euro a quella merda della paninara in cambio di una mollica di pane imbevuta nell’olio esausto e le risposte tirate a caso e mai indovinate nelle interrogazioni di Diritto. A Simone i virus erano sempre stati simpatici. Gli piaceva l’idea che una cosa minuscola e priva di massa ti entri dentro e per quanto grosso tu sia ti spacchi il culo. La taglia di Simone è quella che è. Lui dice un metro e settanta. La verità sta qualche centimetro sotto. E poi è mingherlino e l’app per avere il fisico di uno spartano gli ha tutt’al più delineato qualche muscolo qui e là. Simone gioca a calcio. Gioca terzino e non gli piace. Se ti metto più avanti quelli ti pigliano a spallate e voli in mezzo al pubblico, dice il mister. Simone guarda le auto sfrecciare sulla tangenziale e risponde: E allora Messi? No, in verità non lo dice. Vorrebbe, ma non se la sente e china la testa mentre un camioncino rosso suona il clacson e sorpassa una Panda. Una pacca sulla schiena dal mister mentre si allontana. Vi pigliasse un virus nel culo a tutti. Questo lo dice. Ma le auto in tangenziale, per fortuna, coprono le sue parole.
Una gran scocciatura i genitori sempre in casa. La casa è piccola e i passi sembrano dirigersi verso il bagno.
Vare! Vare! Redde mihi legiones! Simone legge il libro di storia, mentre dagli altoparlanti del pc escono equazioni di un qualche grado. Vare, Vare. Non fosse che quella parola assomiglia tanto a virus forse a quest’ora Simone sarebbe in bagno con Evelyna04 e un odore di merda da far passare la voglia a un toro. A volte sono i dettagli a portarci a scegliere strade differenti. Come quel suo compagno di classe che aveva perso il bus perché si era fermato a guardare un cartellone pubblicitario e sopra l’autobus successivo aveva fatto la conoscenza di una tipa che sarebbe diventata la sua fidanzata. Ogni volta che ci pensava gli rodeva il fegato. Sempre agli altri certe cose. Se fosse successo a lui avrebbe preso un sacco di pacche per il ritardo. L’autobus avrebbe fatto un incidente e lui si sarebbe rotto gli incisivi. Bastardo destino merdoso. Fatto sta che questo Vare, che poi in italiano lo scrivono Varo, è finito proprio male. Dice il libro che era a capo di due o tre legioni dell’esercito romano. Si trovavano al confine con le terre dei barbari germanici e finirono in un’imboscata. Sterminati. Sì, dispiace, pensa Simone, il povero Varo morto e l’esercito kaputt. Però sto piagnisteo da parte di uno come Augusto anche no, non se lo sarebbe mai aspettato. Uno fa l’impero più grande del mondo e poi frigna come un bambino per un po’ di soldati finiti al creatore anzitempo. Simone capisce che sotto ci dev’essere dell’altro, non può Augusto aver fatto una sceneggiata del genere per un paio di legioni. Prova a proseguire nella lettura, ma si perde in congetture, valchirie nostrane e morsi alla nocchia dell’indice della mano.
A Simone i virus erano sempre stati simpatici. Gli piaceva l’idea che una cosa minuscola e priva di massa ti entri dentro e per quanto grosso tu sia ti spacchi il culo.
La lezione è finita. Lo schermo è grigio. Varo è morto. Di casa non si può uscire. I barbari sono un virus per i romani. Evelina si è disconnessa. L’anziano Augusto frigna e wikipedia dice che da lì a pochi anni sarebbe andato a far compagnia a Varo. Forse è per questo, pensa Simone, che l’ha presa così male. I vecchi sono sempre stati più vulnerabili ai virus. Anche allora. Poi Augusto deve essere stato uno intelligente e aveva capito tutto qualche secolo prima. Simone elimina la pagina di wikipedia e apre Whatsapp. Scorre la rubrica, indeciso tra due contatti. Alla fine sceglie Kevin e scrive. Scrive che i barbari erano per i romani una sorta di virus. Un virus come altri e manco dei peggiori. Cartagine, ad esempio, era stata peggio di un virus. Un tumore, quasi. I barbari, sti biondoni alti, grossi e stupidi, facevano del gran casino ma alla fine della storia pigliavano un sacco di mazzate e se ne tornavano nelle loro foreste con i lupi e i santoni strafatti di chissà che intrugli. Solo che poi le cose a lungo andare erano cambiate e i romani non se ne erano accorti. Stavano invecchiando e si erano fatti litigiosi. Mentre ai barbari, a forza di mazzate, era entrato un po’ di sale in zucca. Un giorno erano entrati nell’Impero e sembrava il solito virus. E invece il virus stavolta aveva attecchito e della vecchia Roma non rimaneva che il Colosseo e i burini vestiti da centurioni che chiedono dieci euro ai giapponesi per fare una foto.
Fine del messaggio.
Dopo cinque minuti arriva la risposta di Kevin: se fai così tu ad aprile mi sa che non ci arrivi.
La mamma di Simone è a casa dal lavoro. Il negozio dove lavora ha chiuso. Simone la guarda seduta al tavolino della cucina. La ricrescita è una linea bianca sulla testa nera. Lei sta spesso su Facebook. Simone un profilo ce l’ha, ma non lo usa perché nessuno dei suoi amici usa Facebook e poi è una roba pallosa dove gente come sua madre scrive le proprie paranoie e altri come suo padre condividono stronzate che non fanno ridere nessuno. Simone osserva il mondo dalla finestra della cucina. Un uomo a passeggio sul marciapiede con il cane e la mascherina. La mascherina ce l’ha lui, non il cane. Incrocia una donna, anch’essa mascherata. C’è un momento di empasse quando entrambi si accorgono della presenza dell’altro. Si fermano. La donna cambia lato della strada. Poi più niente per minuti e minuti. Poi un’auto, un uccello, un gatto che attraversa la strada e niente più.
“Mamma, mi sa che faremo la fine dei romani” dice Simone e le parole formano una nuvola sulla finestra della cucina.
“I romani? E che ne sai tu dei romani?” risponde la mamma. L’ultima parola l’ha pronunciata con un timbro ilare. La mamma di storia ne capisce. Guarda sempre i documentari su History Channel e a volte costringe anche lui. Un po’ di storia Simone l’ha imparata così, più che sui libri di scuola.
“Ne so, non ti preoccupare. I romani erano belli forti, o almeno credevano di esserlo. I barbari li consideravano come un virus da niente. Poi però l’hanno presa in culo”
“Ma come parli? Cos’è sto modo di parlare? Vergognati!” Se non altro, pensa Simone, è riuscito a fargli alzare la testa dallo smartphone. Simone si gira verso di lei.
“Si vabbè scusa Mà. Però cosa ne pensi di quello che ho detto?”
“Boh, cosa ne penso…”
“Eh, cosa ne pensi. Non ho detto una cosa stupida vero?”
“Mah, stupida no… però…”
“Però?”
“Però occorre contestualizzare, guardare oltre quel periodo e altre cose”.
Contestualizzare. Altre cose. Se c’è una cosa che Simone invidia agli adulti è questa: tergiversare, difendersi nella propria metà campo, non perdere le staffe quando non si sa cosa dire.
Simone è tornato nella sua stanza. Una partita a Fortnite. Contro voglia. La mamma si affaccia alla porta. Ha il bacino appoggiato allo stipite e la parte superiore sbilanciata verso la stanza.
“Simo”
“Dimmi Mà”
“Non ti devi preoccupare, le cose non finiscono mai”
“Roma è finita Mà”
“No, Roma c’è ancora. E anche allora non era mica finita”
“Come no?”
“Teodorico? Carlo Magno? I regni romano-barbarici ti dicono qualcosa?”
“Forse sì. Di nome. Però adesso non saprei”
“Ecco, studia” E se ne va.
“Un giorno sarò adulto e anche io saprò rispondere a modo quando non so che cazzo dire” dice Simone. Ma nessuno lo può sentire.
Simone ci pensa a Teodorico e Carlo Magno. Se li figura con la mascherina, il camice bianco e uno spadone luccicante di un metro. Perché nessuno ci pensa a creare questi personaggi su Fortnite? E si spacca il culo a tutti. Anche al coronavirus. Spegne il computer. Apre Spotify dal telefono e mette su un po’ di trap. Dalla finestra della sua stanza si vedono case e niente più. Sembrano le case dei presepi: artificiali, immobili, ci puoi vedere dietro quello che ti pare. Fuori, invece, non vedi mai niente. La giornata è ancora lunga. Forse Evelyna04 ha qualcosa di interessante da proporre. Sì, lei sì. Sicuramente.