Rifiuti speciali
Era, come si suol dire, un cattolico non praticante. Credeva in Dio, Gesù, la Madonna e tutta la rosa dei personaggi presenti nel libro “La Bibbia”.
Una grave perdita in famiglia, a seguito di una lunga malattia che consumò lentamente e spietatamente il padre per anni, lo portò ad abbandonare la speranza che aveva sempre riposto nel credo religioso. La famosa goccia che fece traboccare il vaso cadde un pomeriggio, mentre era in strada, quando cioè ricevette la telefonata con la comunicazione dell’avvenuta morte.
In quel posto e in quel momento decise di gettare nel secchio della spazzatura ogni sua speranza. Alzò gli occhi al cielo in segno di sfida, per sbeffeggiarlo, palesare cosa ne pensava e fargli sapere in maniera chiara che tra loro era finita. Infine tracciò con disprezzo, sul secchione, la scritta “GESÙ”.
Una donna, al contrario, nel vederlo pensò che invece avrebbe avuto proprio bisogno di quella speranza gettata via dall’uomo, così si avvicinò al secchione e si riprese quel Gesù rifiutato. Lo pulí per bene e se lo portò vai. Ma prima lasciò a sua volta la sua credenza che tutto dipendesse da un destino già scritto. Indicò così, di lato in basso, la parola “Destino”.
La voce del riciclo dei sentimenti e delle speranze non tardò a girare. Dopo poco tempo la gente faceva la fila per quel bidone. Ognuno si alleggeriva buttando ciò di cui non aveva più bisogno, in genere tutto ciò da cui ci si sentiva traditi; segnando poi sul contenitore la parola che descriveva meglio la propria spazzatura. E allora scrissero “Amicizia”, via nel secchio amicizie esteticamente pulite ma in realtà marce e puzzolenti dentro; via fidanzati e mariti diventati zavorre di un rapporto arenato da troppo tempo; via gabbie vestite da lavori sicuri, via il dolore per traumi o morti di persone care, via i parenti falsi come pochi, via le delusioni e le tristezze. E ancora, via un passato di sofferenze, di abusi fisici e psicologici.
Per ogni rifiuto gettato c’era sempre qualcun altro pronto a riciclarlo. Le scritte sul contenitore erano specchietti per le allodole. Destini altrui presi perché pur sempre meglio dei propri. Uomini per quanto stronzi che fossero, trovavano sempre una donna che si accontentava. Persone sole a cui andavano bene anche gli amici falsi, disoccupati che cercavano un lavoro seppure sfruttato e sottopagato.
Naturalmente nessuno gettava ciò che li rendeva felici: i propri affetti, l’amore per i figli, per il proprio partner. Sul secchione non avresti trovato la scritta “ridere”, le risate con gli amici ce le teniamo tutte dentro nel cassetto dei bei ricordi. Nemmeno rovistando meticolosamente saresti riuscito a tirar fuori qualcosa di buono e veramente utile.
Tutto questo finché un giorno un uomo si fermò davanti al bidone. Si mise a riflettere. Fece quel piccolo passettino mentale, che pochi fanno, in avanti, che gli permise di accendere un’idea. Prese un altro bidone, lo svuotò. Dentro ci mise un sorriso di quando era bambino, qualche secondo di forte battito di cuore, avuto nel suo primo lancio con il paracadute tanti anni addietro e uno dei tanti abbracci affettuosi del suo bimbo.
Quell’uomo volle privarsi di questi suoi beni immateriali per metterli a disposizione degli altri e creare così il corrispettivo positivo dell’altro bidone, quello dei cattivi umori. L’unica conditio si ne qua non era lasciare in cambio esclusivamente qualcosa di bello, qualcosa che nutrisse l’anima e facesse apprezzare la vita. Così facendo spronava la gente a cercare i lati positivi della propria vita; qualcosa c’è sempre ma ce se ne dimentica facilmente o a volte nemmeno ce ne accorgiamo, perché seppellita dalle macerie della tanta negatività acquisita nel tempo.
Un barbone incuriosito andò a rovistare all’interno del nuovo secchione, infilò la mano come nella pesca, solo che qui poteva scegliere il premio da ritirare; prese il “sorriso” e se lo portò via. Gliene lanciavano pochi, di sorrisi, in vita sua e anche averne solo uno gli avrebbe scaldato il cuore.
Di contro lasciò una fetta di umiltà, l’unico bene di cui era ricco. Un uomo depresso prese invece il forte battito di cuore, barattandolo con la sua fragilità, pensava che avrebbe fatto bene per far tornare, qualcuno troppo sicuro di sé, con i piedi per terra; per ultimo una donna prese l’abbraccio del bimbo, era passato troppo tempo da quando lei abbracciò l’ultima volta il suo, lasciando come moneta di scambio l’emozione della volta in cui suo marito gli disse che era innamorato di lei.
Il bidone della bontà aveva meno afflusso rispetto a quello della negatività, forse perché si trovava in disparte o forse perché quest’ultimo con le varie scritte attirava di più. Di gente però che andava oltre e che era disposta a mettere a disposizione un po’ della propria felicità ce ne stava.
Andò avanti finché una mattina trovarono quel corpo di metallo senza vita riverso a terra. Una pozza scura, come se fosse sangue, rivelava che gli avevano pure pisciato sopra. Nella notte era stato saccheggiato, svuotato e riempito di grida di scherno e di rabbia. I vandali rubarono tutte le cose belle. La beffa era che in mano loro sarebbero durate poco, perché queste cose vanno nutrite. Non ci campi di rendita con un sorriso o uno spasmo d’amore, a meno che tu non lo accudisca e non lo nutra giornalmente.
Amareggiato e scoraggiato fu proprio quella la mattina che decisi di fare anche io la fila per l’altro secchione, volevo buttarci dentro, con grande rabbia, la fiducia nelle persone.
Ma un istante prima di farlo vidi quel piccoletto, un bimbo di 7 anni che, con grande testardaggine e con non meno sforzo, stava tirando su il bidone maltrattato, come fosse un vecchio malconcio caduto. Gli diedi una mano e, una volta messo in posizione verticale, lui smucinò nella sua tasca da dove prese ciò che per lui era di più prezioso, una caramella, e senza esitare gliela infilò dentro. Ridando così vita e speranza a quel bidone, come solo un bambino sa fare.