Truman Capote, un istrionico chiamato uomo
Istrionico, irriverente, geniale. Un monologo ardito e spumeggiante, quello di Gianluca Ferrato che rende il giusto tributo a Truman Capote, al secolo Truman Streckfus Persons, l’attore, sceneggiatore e drammaturgo statunitense noto ai più per essere l’autore di Colazione da Tiffany.
Genio e sregolatezza convivono in lui, ma dalla maschera trapela incessante il dubbio dell’amore, e il suo trauma, vero centro della narrazione. Una storia che non segue l’ordine cronologico, che sovverte i tempi e combina i flashback e i tempi presente e passato, gira e rigira, per finire col centrarsi sempre sull’amore, come coscienza profonda di sé, al di là di ogni modo, correntemente inteso, di essere uomo: tutto si sovverte e tutto ritorna in esso, l’immagine pubblica, l’identità sessuale, tutto finisce per avere sempre centro nell’amore.
Un dramma esistenziale profondo che nel ribadire l’omosessualità tradisce una rivalsa. Lo fa con fine ironia, e lo fa giocando. Con se stesso, col testo, con gli spettatori. Lo fa, anche, con cinismo e irriverenza, senza mai essere però né dissacrante né (inutilmente) volgare, nemmeno quando la destinataria è una “umanità di una razza segaiola”, soggetto collettivo ed eterosessuale.
Non meritava il pubblico un finale diverso, che sarebbe stato certo meno appagante. In fondo, “tutta la letteratura è pettegolezzo”.
Applausi.
Abbiamo visto:
Truman Capote – Questa cosa chiamata amore
di Massimo Sgorbani, con Gianluca Ferrato
impianto e regia Emanuele Gamba
Al Teatro Piccolo Bellini di Napoli
Si ringrazia l’Ufficio Stampa. Info qui.