God bless l’ordinaria normalità
Qualche giorno fa ho ricevuto un’email della scuola.
Diceva più o meno che data la situazione di emergenza sanitaria, non ci sarebbero state lezioni per qualche giorno (che poi come sappiamo sono diventate settimane): auspichiamo un veloce ritorno alla nostra ordinaria normalità.
Ho letto l’email e mi sono sentita rassicurata.
Anche io sì, anche io voglio tornare alla mia ordinaria normalità. È una deliziosa normalità.
Caotica, definitivamente. Ma quanto era accogliente e calda in confronto a questo gelido tempo di Marzo, pieno di incertezze e virus?
Il lavoro, le commissioni, la ricerca di una casa, il traffico, il mercato del sabato mattina, il corso di ginnastica, il corso di yoga, i bilanci di salute, i nonni, i viaggi, l’estate giù, i concorsi, i progetti, insomma la vita quotidiana.
Ma di cosa è fatta la nostra rassicurante normalità, oltre a quelle attività di cui posso lasciare una traccia cosciente?
La nostra ordinaria normalità ci richiede il massimo nella performance, nella presenza, nei nostri desideri; ci rinuncerà qualcun altro.
Torneremo, immagino io, a non pensare al riscaldamento globale, giusto? A considerarlo un problema nascosto nel nostro subconscio che non ci riguarda al momento perché l’Antartide è lontana e avere sempre questa temperatura mite ci permette di fare più corse, bagni al mare a febbraio e più pic-nic. Continueremo a guardarlo come un’incombenza ad anni luce di distanza che interesserà sempre qualcun altro, più avanti.
Rinunciare alla carne è troppo complicato.
Lasciare la macchina ancora di più, volare di meno neanche a parlarne.
La nostra ordinaria normalità ci richiede il massimo nella performance, nella presenza, nei nostri desideri; ci rinuncerà qualcun altro.
Torneremo allora a guardare dall’altra parte mentre altri esseri umani scappano da tutto il male del mondo attraversando deserti, mari pericolosi, paesi in guerra pieni di bestie e torture, no?
Scrolleremo velocemente lo schermo di facebook e no, non vogliamo vedere quelle scene a contenuto sensibile. Che posso farci io? Prima o poi si infiltrerà di nascosto qualche immagine di un bambino morto di freddo in un campo profughi o tentando di arrivare alla riva di un’isola europea; noi abbracceremo forte i nostri cuccioli e dopo un po’ dimenticheremo, ci penserà qualcun altro, prima o poi.
Non noi, privilegiati che qualche settimana prima, nell’emergenza, eravamo addirittura stati fermati all’aeroporto di tale paese e trattati da appestati: coi nostri laptop e le macchine fotografiche e le bottigliette d’acqua firmate, seduti in prima classe con il viso imbronciato. Come si permettono a discriminarci, a chiudere in faccia le frontiere, a noi? Già.
Ora che siamo noi quelli messi in un angolo mentre tutti gli altri passano, guardati con sospetto, noi, noi che abbiamo meditato una fuga per mettere in salvo i nostri cari. Noi che siamo fuggiti a mezzanotte con quello che avevamo per prendere l’ultimo treno che ci avrebbe portati lontano dalle nostre crisi.
Benedetta normalità, torna perché io non so essere il diverso.
Non storcete gli occhi. Siamo tutti lì invischiati fino in fondo. Siamo questo volenteroso gruppo che tenta di fare qualcosa ma non sa bene cosa e non vuole rinunciare a qualche hamburger, alle grigliate all’aria aperta, allo zucchero raffinato quanto basta, a dimenticare ogni tanto le disgrazie altrui, a sognare una vacanza a Bali in un bel resort, a non dover per forza fare sempre la cosa giusta.
Viviamo con un certo senso di colpa questo privilegio di avere un’ordinaria normalità.
Va benissimo, secondo me.
Perché in questi giorni abbiamo anche fatto i conti con tante cose che non possono lasciarci indifferenti, prima su tutte la nostra incredibile fragilità. La consapevolezza di essere fragili.
Non siamo invincibili, possiamo rallentare senza che il mondo finisca, migliorare le nostre qualità di lettura, sentire nella propria pelle la sofferenza degli altri
Fisicamente, ma soprattutto psicologicamente. Siamo spaventati e ci preoccupiamo per noi e per gli altri: siamo umani, ecco cosa c’è; la consapevolezza della nostra vulnerabilità è preziosa.
Non siamo invincibili, possiamo rallentare senza che il mondo finisca, migliorare le nostre qualità di lettura, sentire nella propria pelle la sofferenza degli altri, capire il pessimo giornalismo al quale spesso affidiamo la nostra informazione, intuire chi sta davvero facendo il bene nostro in questo momento di crisi, individuare i vittimisti e i complottisti dell’ultima ora.
Possiamo diventare più tecnologici, più creativi, imparare a stare di più con i marmocchi senza andare a posteggiarli ogni giorno in qualche corso. Cucinare il pane. Guardarci i film classici la sera. Giocare a dominò, fare qualche passeggiata, pensare a fare un orto in balcone. Sprecare di meno e cucinare con quello che è rimasto in frigo.
Silenziare senza conseguenze tutte le chat di whatsapp e soprattutto chi usa queste chat per diffondere menzogne e paura.
Sembra che gli argomenti non siano collegati tra di loro ma non è così.
In questo momento siamo obbligati a fare delle scelte individuali per preservare la nostra collettività e tutto questo influenzerà le nostre decisioni, quando questa tempesta sarà passata.
Anche quelle delle persone che voteremo, delle scelte di vita che faremo, degli amici che definitivamente rimarranno.
Sarà una nuova, accogliente, consapevole e più responsabile normalità.
Nel frattempo la regina coronata dei nostri incubi, cadrà.