Non ho tempo
“Non ho molto tempo”, scriveva nel suo diario Alfredo. Tempo per dormire, tempo per giubilare, tempo per dolersi. I graffi dei combattimenti rigavano il suo volto. Lo specchio restituiva un viso sbiancato ma scintillante, come fosse un pupazzo di latta o un pagliaccio circense.
Non aveva tempo Alfredo per discutere sul valore delle proprie esaltazioni giacché, così scriveva, “…ogni pretesto che è necessario per la sopravvivenza risulta banale di fronte alla crudeltà della storia.”
Un’anima vecchia, vecchia di cento e cento anni, un’anima saggia, lucida, troppo vecchia, esageratamente anarchica, abitava la sua età. Era accaduto, era così.
Aveva dimenticato le giovanili buone abitudini: mangiare due volte al giorno, dormire di notte, riposare il pomeriggio, leggere il giornale la mattina. Tutto il suo tempo, o almeno quel poco tempo che gli restava, lo trascorreva scrivendo il suo diario.
Non abitava in un posto preciso della sua mente la chiarezza e anche i suoi agili nervi, oppressi oltre misura dalla elasticità dei suoi propositi, si erano così tanto ingarbugliati che di buon senso o di responsabilità il suo cervello non voleva proprio saperne.
Abitava i luoghi come fossero gli ultimi spazi disponibili. Alfredo, guardingo, scrutava le persone che incrociava per strada come fossero personaggi rimasti a prolungare oltre tempo l’atto di una commedia, ma del brioso canovaccio non percepiva mai le battute conclusive. Invero, la soluzione era a portata di mano, se solo si fosse davvero bene concentrato sui protagonisti, da loro, infatti, avrebbe colto tutti i segni efficaci a modificare la sua natura stravagante.
Ma un’anima vecchia non può gestire la quotidianità della normalità, la longevità del suo essere spirituale era così antica, remota, arcaica e legata ai secoli dell’esperienza che nessuna emozione poteva ormai più turbarla.
Attònito, ma spedito, Alfredo trapassava la vita verso altre vite e questo accadeva ogni giorno, ogni mattina. Lui non aveva tempo per viverne una sola.
Ah l’amore, e l’amore, come fosse l’ultima storia da raccontare, lui lo raccontò. Alfredo descrisse sul proprio quaderno la storia di Camille. Raccontò dell’acqua chiara del lago, del fruscio degli alberi e dell’odore umido del corpo. Scrisse di dialoghi, di lucidi ricordi, di cantate al pianoforte. Raccontò di loro due e della pioggia di stelle.
Non ebbe tempo di finire il racconto, la sua anima si scontrò con l’inarrivabile, con l’utopia al di là delle parole, oltre i gesti.
Ancora vaga l’anima di Alfredo, in attesa.