Soldatino francese (feat. sole d’inverno & JustEat)
Il problema è che c’è un minimo di ordine da raggiungere. Soldi, intendo. Credo che il ragionamento sia questo: non puoi far muovere un motorino con uno studente sopra solamente per un panino e una birra. Ci sta. Però quindici euro mi sembrano davvero tanti. Quindici, quindici, dodici. Continuo a scorrere l’app. Dieci euro. Dieci euro può andare. Tempo di consegna: due ore. No, due ore mi pare troppo. Quindici, quindici, dodici. Un milione di anni di evoluzione per permettere al mio pollice di scorrere una app su uno smartphone. Quindici, dieci. Dieci però 2 stelle su 5 di valutazione. Poi non digerisci, di notte sudi e sogni che tutti ti sbattono in faccia la loro felicità. Tipo voyeur, ma senza eros. Lascia stare. Pollice, pollice. Poveri scimmioni, se l’avessero saputo avrebbero evitato tutti quegli esercizi per staccare il pollice dall’indice. Dodici, mi sa che mi dovrò accontentare di dodici.
Tre ore prima ero seduto su una panchina. Davanti a me un parcheggio, dietro una gelateria. Il sole mi baciava la fronte e anche un po’ più giù. Non che fossi bello, solamente la panchina stava al sole e io stavo bene lì dov’ero. Avevo una coppetta di gelato vuota nella mano destra e un rivolo di pistacchio scendeva sul palmo della mano. Ho sempre detestato avere le mani sporche. Quando ho le mani sporche penso a quello e basta. Ho davanti Winston Churchill e io penso che ho le mani sporche. Si fotta la cortina di ferro. Un cane sguinzagliato si guardava attorno. Fondamentalmente, non sapeva che fare di tutta quella libertà.
I contropiedi erano affidati alla femmina. Capello corvino, profilo deciso. Futura donna di temperamento, potenziale leader
Si sarebbe accontentato di un sedere da annusare, un palo da irrorare. Niente. A tratti la testa mi cadeva di lato, poi la ripescavo e la rimettevo al suo posto. Mi pareva di sentire un leggero russare. Ascoltarsi russare è un po’ come guardarsi dall’esterno. E non ti piaci mica, in definitiva. Davanti a me c’erano due gruppi di ragazzini. Erano di età differenti. Il primo gruppo era composto da due maschi. Dodici anni, mi pareva di indovinare. Il secondo era di quattro, tre maschi e una femmina, più giovani di un paio di anni. I due seniores maramaldeggiavano, spavaldeggiavano, ma senza creare occasioni per sancire la propria superiorità. Il secondo gruppo giocava in difesa. I contropiedi erano affidati alla femmina. Capello corvino, profilo deciso. Futura donna di temperamento, potenziale leader. Gli altri tre del suo gruppo stavano dietro. Le bocche socchiuse, lo sguardo alla capa e le mani giunte all’altezza dei genitali.
Il campanello è suonato. Nessun studente ad arrotondare lo stipendio. Un tizio del Punjab e nemmeno tanto giovane. Gli allungo un euro di mancia e lo immagino in una casa fatiscente del centro città. Lui, la moglie e quattro figli. La moglie in cinta del quinto, giusto. Punjab, Uttar Pradesh o Cashmere? Se fossi stato ubriaco glielo avrei chiesto. Perché no? Quindi si, alla fine sono riuscito a trovare un ristorante che non aveva ordine minimo. E manco la consegna ho pagato. Zero. Una manciata di euro dal conto Paypal e mi ritrovo un quintale di riso basmati con un po’ di verdure buttate qui e là. Un pezzo di pane, anche. Non mi sembra di averlo ordinato. Mangio. Il fattorino era del Cashmere, così ho sancito. Come la canzone dei Led Zeppelin. Come i maglioni di Bertinotti. Il contenitore nel sacco giallo, il basmati di troppo nell’umido. Meglio i Led Zeppelin, concludo.
La tenzone tra le gang continuava. Potevo notare qualche brufolo da entrambi gli schieramenti. Oggi sono due, domani quattro, dopodomani non vuoi uscire di casa. Gli scimmioni, quelli degli esercizi per staccare il pollice dall’indice, non si facevano di questi problemi. E poi avevano da fare gli esercizi, appunto. Il gruppo dei due maschi non era coeso. Per niente. All’inizio le canzonature verso i giovani avversari erano all’unisono, ora solamente uno continuava a lanciare saette di là del campo. Ma erano solamente parolacce buttate là a casaccio, offese insulse, inverecondia di bassa lega. Sì, era in difficoltà. Non si aspettava una tale resistenza. Dalla femmina, poi. Fosse stato per i suoi tre compari, mah, che te lo dico a fare. Lei non perdeva le staffe, non scadeva nel triviale, rispondeva a modo. E soprattutto aveva conquistato l’altro, quello che era anch’esso partito in tromba e ora non trovava più il motivo per cui continuare la lotta. Se ne stava lì, pensieroso. Quei tre mocciosetti li considerava dei poveri coglioni, certo, ma lei no. Lei, gli dispiaceva ammetterlo, era in gamba. La guardava, in silenzio. Non fosse stata una questione di onore avrebbe cambiato casacca e fanculo a quello scemo che sapeva dire solamente parolacce. Mi sono alzato, ho cercato di pulire la mano. Alla prova del nove risultava ancora appiccicosa. Ho emesso un “ah” di disappunto. Abitano nello stesso condominio o in qualche modo sono costretti a frequentarsi causa genitori. L’amicizia tra questi due non supererà la terza media, ho pensato. E poi ho anche pensato se fosse stato utile usare la saliva per pulire la mano. No, decisamente no. E mi sono allontanato.
Carib’s Leap è una video-installazione di Steve McQueen esposta alla Tate di Londra. Lo leggo su una rivista d’arte. Sono sdraiato sul divano, il collo incastrato tra un cuscino e il bracciolo. Faccio un rutto che sa di Gange e anche un po’ di Indo. Emetto un “ah” di disappunto e continuo a leggere. Carib’s Leap è il nome del luogo dove una tribù indigena di Grenada, nei Caraibi, si diede la morte piuttosto che accettare la dominazione francese. Guardo il soffitto e penso ai soldati francesi. Ne immagino uno in particolare. Lo vedo al porto di Bordeaux, in divisa da soldato. Evviva, dice, me ne vado nel nuovo mondo. Un paio di sbornie nell’attraversata dell’Atlantico. Ci sta. Poi eccolo a Grenada. Gli indigeni sono dei poveri coglioni, dice, non possono essere che contenti di essere comandati da gente svelta come noi. Ed è anche contento, ma sì dai che è contento, di conoscerli e svegliarli un po’. Poi li vede tutti morti, di propria volontà, a Carib’s Leap. E capisce di non aver capito nulla. Che a quella gente di conoscere lui, bell’imbusto francesino del cazzo, non fregava proprio niente. Che lo consideravano un coglione, mica uno superiore a loro. Meglio crepare, anzi. E allora ecco tutte le sue certezze tuffarsi nel mare dei Caraibi e non riemergere più. Forse era lui che voleva conoscere loro e non viceversa. Ma niente è più possibile ormai. E questo, già, gli dispiace un po’. Il soldatino francese ha il volto del ragazzino che si è fatto da parte nella disputa del pomeriggio. Me ne accorgo solamente ora.
Butto la rivista a terra. Quello che ho letto mi ha infastidito. Quello che ho pensato anche. Incrocio le braccia. Ce l’ho con il mondo intero. Categorie, impalcature, sovrastrutture. Prima che hai smantellato tutto hai un piede nella fossa. E la vita sta dietro. Vorrei parlare con il ragazzino/soldatino francese. Sento di volergli bene, Se il tuo amico/posto giusto è lei/Grenada manda affanculo la società/Francia e vai. Vai. Vai. Chiudo gli occhi. Il quintale di basmati. Vai. Mi addormento.