Il senso della vita. Tutte le risposte
I massimi sistemi non si interrogano, mai!
Non si indagano. Mai.
I massimi sistemi non si interrogano, mai!
Non si indagano. Mai.
Semplicemente si deve imparare ad ascoltarli, perché loro, per loro immodificabile natura, raccontano tutto a prescindere dalla conoscenza umana, dallo scibile e dalla forza empirica dell’esperienza.
I massimi sistemi parlano per sapienza cosmica e rispondono a domande che non devono essere pronunciate perché insite nella caducità terrena.
I massimi sistemi trasmettono per cosmica osmosi il sapere, l’origine e la direzione di ogni cosa, il bene e il male, lo yin e lo yang, l’Alfa e l’Omega, laddove per Alfa non si intende l’Alfa Romeo e per Omega non si intende la fortunata autovettura prodotta dalla Opel.
I massimi sistemi bisogna solo rimanere in silenzio e ascoltarli.
Or bene, i massimi sistemi di cui ho fatto ampia introduzione sono mia madre e mio padre.
Ma non è che lo sono sempre e in generale, lo sono quando tentano una comunicazione che spesso è da ritenere necessaria, specie quando si condivide quello spazio vitale delimitato da un certo quantitativo di cemento armato e generalmente – e sbrigativamente – definito “casa” (e ora ho pure capito perché è armato, il cemento: credo si tratti di legittima difesa).
Dopo una lunga e insardevole e sfiancante tournée teatrale, mi imbatto in un singolare tentativo di conversazione che lì per lì, sulla stanchezza, credetti surreale, ma quando tornai lucida, dopo essermi finta morta per un tempo indeterminato, capii che non era surreale, era semplicemente un confronto tra due massimi sistemi, quindi era evidentemente al di sopra delle mie normali, quanto banali, capacità logico-deduttive di capire.
A questo punto sarò breve e perentoria.
Andò così.
…e a valle del galeotto corridoio “caddi come corpo morto cade” – cit. Alighieri Dante
NB. A casa mia queste due stanze sono l’una di fronte all’altra divise da un normalissimo corridoio.
– Mamma (al telefono): Nicola dove sei?
– Papà: (al telefono) Eh?
– Mamma: Do-ve-se-i?
– Papà: Non sento. Cosa vuoi?
– Io (che mi trovo a passare per il corridoio tra le porte aperte di salotto e cucina e mi sento in dovere di mettermi al servizio di questa conversazione): Papà, la mamma vuole sapere dove sei?
– Papà (al telefono): sono nel salotto, Maria. Che c’è?
– Mamma (al telefono): Sei andato a Rosarno?
– Io (sempre nella stessa postazione): Mamma, papà è in salotto.
– Mamma (a me): e non va a Rosarno?
– Io: e a me lo dici?
– Papà (al telefono): Maria non ho capito
– Io (sempre dalla stessa postazione): papà dice la mamma se vai a Rosarno
– Mamma (al telefono) Nicola ma tu in salotto sei?
– Papà (al telefono): no, ancora devo andare a Rosarno.
– Mamma (al telefono): e quando vai?
– Papà: eh? Non ho capito?
– Io: (sempre dalla stessa postazione): vuole sapere la mamma quando vai a Rosarno.
– Papà (a me): ma la mamma dov’è?
– Io: In cucina
– Papà: che è successo da Gina? (vicina di casa, ndr)
– Io: non da Gina, in cucina. Se ti fai ‘sti due metri di viaggio fino a lì magari vi capite.
– Papà (a me): che viaggio?
– Io (già definitivamente annientata): mamma a Rosarno posso andare io?
– Mamma: perché papà dov’è?
Ecco, fu esattamente questo il punto in cui anche io, come il cemento, capii di dovermi legittimamente difendere, e poiché storicamente la miglior difesa è l’attacco, mi sono fatta venire un indefinibile, quanto ingiustificabile, attacco di intolleranza all’eccesso di volte in cui era stata detta la parola “Rosarno” e a valle del galeotto corridoio “caddi come corpo morto cade” – cit. Alighieri Dante. Il quinto canto di quell’infernale commedia mi è testimone.