Memoria insufficiente
La strada per il circolo anziani che frequentava la ricordava invece molto bene. Così come ricordava il giorno in cui vide per la prima volta una donna, una radiosa settantenne con tanta voglia di vivere. Voleva avvicinarla, ma lei ballava dal primo momento in cui entrava in sala fino a pochi minuti prima di andar via. Ballava estasiata. Lui ne era stregato, ma lei era sfuggente, sempre in movimento, mentre il nostro caro amico era l’opposto: riflessivo e pacato. Era più da tavolino, una sigaretta, un bicchiere di vino bianco e una chiacchierata.
I giorni passavano e l’uomo dimenticava sempre più in fretta, tanto che a un certo punto ogni volta che vedeva la donna per lui era la prima volta e ogni giorno se ne innamorava di nuovo.Realizzò di avere qualcosa che non andava ma trovò ben presto una sorta di soluzione seppure amara. Decise di dimenticare qualche esperienza passata di poco conto, una piccola cosa, che però gli avrebbe permesso di far spazio nella sua memoria e di riuscire così a fissare l’immagine di lei.
Anche la prima sera che la invitò a cena, nella prospettiva di un incontro indimenticabile, prima di andarla a prendere con la macchina, eliminò una serie di ricordi. Voleva essere sicuro di avere tutta la memoria di cui avrebbe necessitato; così senza pensarci due volte cancellò tutto il periodo in cui aveva lavorato come impiegato. Eliminò anche i suoi primi giorni di scuola e le uscite con i suoi piccoli amici. Eliminò completamente la sua infanzia.
La serata andò ben oltre le aspettative, entrambi si raccontarono e si dichiararono. L’amore che lui nutriva per lei era tanto forte, che gli dava delle emozioni tanto intense quanto avide di accaparrarsi uno spazio nella sua memoria. Lui barattava volentieri qualsiasi pezzo del suo passato per un pezzo di amore attuale. E allora via anche la gioventù, via l’età adulta, via le sue donne passate.
Mesi dopo il suo cuore era pieno quanto la sua memoria, entrambi chiari, lucenti, vivi.
In uno dei loro incontri, di sera a casa sua, mentre Jeff Buckley girava in un vinile cantando:
“I made wine from the lilac tree
Put my heart in its recipe
It makes me see what I want to see
And be what I want to be […]”
lei gli confessò che doveva andar via, scendere giù a Roma per un periodo ancora non precisato, non gli spiegò il motivo e lui non lo chiese.
Si sentirono ogni sera, lei gli raccontava delle passeggiate per le strade di Roma, lui delle passeggiate per le vie di Torino. Poi, nell’ultima telefonata, lei gli chiese di andare a trovarla.
L’uomo partì presto, prendendo il treno delle 5.50 del mattino dopo, in arrivo a Roma alle 10.00. La voglia e l’emozione di incontrarla erano forti quasi quanto lo erano stati la prima volta che uscirono insieme. Gli unici ricordi rimasti in mente, che non fossero di lei, erano oramai una manciata di immagini fisse: i visi dei suoi genitori, di sua sorella, del suo migliore amico e della prima donna che aveva amato. Quelli li aveva messi sin dall’inizio in cassaforte con l’avviso: “Da eliminare solo in casi di estrema necessità”.
Il nostro vecchio amico faceva spesso un gioco la sera, a letto, prima di dormire: passava in rassegna tutte le persone a lui care immaginandole ridere, ormai nella sua memoria erano rimasti solo questi cinque. I primi piani erano sempre stretti: vedeva sua madre con la sua risata fragorosa, suo padre era sfocato così come la sua risata composta, sua sorella rideva timidamente ma di cuore; il suo migliore amico ridacchiava a piccoli intervalli regolari, ogni volta parlando sopra la risata ed emettendo solo sillabe incomprensibili. Palesava il suo divertimento più con l’intensità dei suoi occhi strizzati piuttosto che con la sonora risata ed infine il suo primo amore, che rideva con le lacrime e in maniera strozzata, tanto che poi finiva a tossire per i minuti successivi.
Volle giocarsi tutto, stavolta però non senza esitare e non senza che il cuore e la mente dessero il loro parere sfavorevole. Ma la scelta spettava a lui e per quella donna era pronto a tutto, anche a cedere il suo vissuto.
E così in treno, mentre il finestrino, come fosse un televisore, trasmetteva la campagna laziale, lui chiuse gli occhi stringendoli forte per non sentire il dolore dell’abbandono. Due lacrime scesero dagli angoli estremi delle palpebre chiuse, incanalandosi tra le pieghe delle rughe, i visi sorridenti dei suoi cari riflessi nell’acqua salata scendevano lentamente lungo le sue guance, le curve in movimento deformarono quei sorrisi. Cancellati anche loro. Per sempre.
La donna lo stava aspettando sul binario di arrivo, lui scese dal treno con un sorriso, a differenza di lei che lo stava aspettando con un viso triste. Andarono al bar della stazione, uno al piano superiore dove potevano rimanere tranquilli. Una volta seduti lei gli tenne le mani tra le proprie, lo ringraziò per il bellissimo anno che le aveva fatto trascorrere e mentre lei ricordava i momenti insieme, l’uomo che aveva tutto vivido e chiaro, aggiungeva particolari che sorprendevano e allo stesso tempo commuovevano la donna. Dopo un quarto d’ora andarono via, fin giù in metropolitana. Proprio lì la donna scoppiò a piangere, lo baciò e gli disse che non voleva più vederlo e lui non avrebbe dovuto cercarla.
Un maremoto di emozione e tristezza si rovesciò dentro di lui, inondando l’ultimo spazio rimasto libero tra i ricordi. Riempì tutto, ogni fessura, le onde si infransero fino a scavalcare gli alti muri robusti che dividevano le varie memorie, coprendo così anche l’ultima giornata vissuta: dalla telefonata della sera prima fino a quell’istante, tanto che non memorizzò mai ciò che gli raccontò dopo.
Lei era malata, in uno stato avanzato della malattia e non voleva che lui la vedesse appassire ulteriormente perché sapeva, per esperienza personale, che poi nella sua mente sarebbe rimasta impressa solo la sua immagine malandata e decadente. E lei lo voleva evitare.
Lui non disse una parola, mentre era ancora inebetito dalla notizia la donna gli diede l’ultimo bacio sulla guancia, scese dal vagone e lo lasciò lì seduto, con la sua piccola valigia, mentre fissava il vuoto davanti a sé.
Come un corpo che riceve un colpo violento continua a vibrare, mostrandosi indefinito, anche l’anziano signore rimase per parecchie fermate a vibrare, senza riuscire a cogliere ciò che gli era appena capitato. Una volta tornato in sé prese il fazzoletto di stoffa dalla tasca, lo aprì e si asciugò le lacrime. Lo fissò senza dire nulla. Non ricordava il motivo per cui avesse pianto e il perché fosse lì.
Oggi lo trovi tutti i giorni in metropolitana, se gli chiedi chi è non sa risponderti. L’unica cosa che può fare è raccontare una storia d’amore.
Ma non ricorda il finale.