In nome del padre

In nome del padre, uno spettacolo scritto, diretto e interpretato da Mario Perrotta, consulenza alla drammaturgia Massimo Recalcati, costumi Sabrina Beretta, musiche Giuseppe Bonomo e Mario Perrotta, produzione Teatro Stabile di Bolzano. Fino al 9 febbraio in scena al Piccolo Bellini di Napoli.

Tre padri, tre caratteri completamente diversi. Accomunati da una cronica insicurezza, ognuno in cerca della chiave per risolvere sé stesso attraverso l’anima dei figli

Quanto può essere mitico il proprio padre? Un tema che ha impegnato poeti, scrittori, sociologi e stregoni. Ma non si può incasellare il mistero, non potrà succedere mai. E Mario Perrotta ce lo dimostra in 80 intensi minuti di recitazione, con un ritmo da montagne russe, in un saliscendi continuo di toni, di caratteri, di racconti, di esternazioni. Cosa succede quando il mito perde smalto? Cosa accade, quando colui che la cultura popolare vorrebbe fosse un super uomo, inizia a vacillare? Ce lo racconta un’intensissima recitazione. Tre padri, tre caratteri completamente diversi. Accomunati da una cronica insicurezza, ognuno in cerca della chiave per risolvere se stesso attraverso l’anima dei figli. Sullo sfondo tre adolescenti, privati di quello specchio di vita e di esempio che in fondo ogni ragazzo cerca nei propri genitori.

E mentre Perrotta occupava tutti gli spazi del palcoscenico, ormai trasformato verosimilmente in un condominio, noi tutti annichiliti da troppa verità, annaspavamo rievocando vecchi o più recenti ricordi

Un solo uomo sul palco, un solo attore con tre anime, quella del narcisista, quella del rassegnato, quella del super razionale ai limiti della maniacalità. Ognuna con le sue ragioni, ognuna con le sue giustificazioni. Tutte perdenti, almeno agli occhi della prole, annientata da un’assenza di comunicazione devastante. Gridano i padri il proprio dolore e la propria inadeguatezza, ma lo fanno nella direzione sbagliata, investendo come un vento malefico giovani piante alle quali nulla resta se non piegarsi sotto la pressione delle raffiche. Pessimi genitori, pessimi effetti, pessimi tentativi di porre riparo. Impegnativo per noi pubblico assistere. Su ogni poltrona sedeva un figlio, un genitore, o entrambe le cose. Come fare a non pensare alla propria storia mentre Mario Perrotta si sfilava, con grande bravura, i panni dell’uno o dell’altro papà? L’accento napoletano, poi veneto, poi siciliano. Una varietà umana a dirci che nessuno è immune dalla possibilità di cadere, di fare errori e danni. E mentre Perrotta occupava tutti gli spazi del palcoscenico, ormai trasformato verosimilmente in un condominio, noi tutti annichiliti da troppa verità, annaspavamo rievocando vecchi o più recenti ricordi.

La genitorialità paterna non esce salva da questo spettacolo che ha, tra gli altri, il grande pregio di attribuire una sacrosanta fragilità ad un ruolo tanto delicato, che forse le convenzioni sociali hanno in qualche modo inquadrato in uno schema asfittico. che non è riuscito mai davvero ad adeguarsi ad un mondo che evolve continuamente.

Da vedere!

Abbiamo visto “In nome del padre” al Piccolo Bellini di Napoli

Si ringrazia l’Ufficio Stampa

Per info clicca qui

Fiorire

By Stefania Orrù

Fiorire, in mezzo ai rovi

tra i rami spezzati,

in mezzo a un prato incolto e secco.

Fiorire, tra la macerie di quello che eri,

di quello che sei, di quello che vorresti essere.

Fiorire, in mezzo a un prato verde,

dove non ti importa di che colore sarai,

del profumo che avrai.

Fiorire, senza misurare il tempo

tra i tuoi passi,

le tue paure,

i tuoi sorrisi smarriti che il sole farà splendere,

ogni volta che lo vorrai tu.

La vasca del Führer, Serena Dandini

By Ester Trevisan

Ma è sempre come uno se la racconta. Più che a vivere, siamo bravi a riscrivere la nostra vita come più ci piace. E Lee ha addirittura strappato intere pagine del suo romanzo personale per semplificare la trama. In realtà si è fermata perché Roland era l’unico porto sicuro in cui approdare dopo l’uragano della guerra. La terra le tremava sotto i piedi: se avesse perso anche lui, avrebbe perso sé stessa. Roland era casa e radici. Per sopravvivere, si è arresa.

La vasca del Führer, Serena Dandini

Anima e Corpo

By Luca Lo Vercio

Il Teatro mi ha lasciato libero di conoscermi, di scrutare le infinitesime impercettibili sfumature della mia anima. E c’è la cucina, che mi distrae e lascia il corpo libero di respirare. Ed è una lotta, perché è come scegliere fra due puttane di classe.

E poi la scrittura, dove anima e corpo trovano ristoro.

Sono sicura di avertelo detto

By Stefania Orrù

Era estate,

inverno e forse una volta pure autunno.

Una volta un lunedì, altre un giovedì,

altre ancora una domenica.

Era quasi sempre buio ma c’era una piccola luce,

non era comunque abbastanza

e me lo ricordo bene.

Sono sicura di avertelo detto,

molto più di una volta

“vedrai che accadrà, anche a te succederà”

non sembrava mi credessi,

o forse ero io a non volerlo credere.

Eppure lo sapevo,

lo ho sempre saputo,

in una piccola parte di me.

Ora le mie mani sono vuote,

ma forse libere, e timide

e impaurite.

Le spalanco verso il cielo,

“vedrai che accadrà, anche a te succederà”

chissà se sarà mai vero.

Doppio Vetro, Halldóra Thoroddsen

By Ester Trevisan

Fingere che la vita sia in piena fioritura, che ci troviamo nel mezzo del cammino. È a questo che bisogna ambire. Lei non ha certo voglia di tornare giovane.
Ha capito quello che tutti desiderano una volta oltrepassata la metà.

Occorre fingere di esserci, anche con sforzi immani. Le risate devono ingannare la morte… così la morte nella sua stupidità pensa: aspetta un po’, qui non c’è posto per me… qui sono tutti allegri.

Doppio Vetro, Halldóra Thoroddsen

facciunsalto.it | raccontiamo emozioni