“Le braci”, un invito a fare i conti con noi stessi (e ad accettarci)
La vita li ha vissuti fino a sfibrarne le anime e i corpi, membra esauste che invocano invano riposo a poltrone appartenenti a un tempo distante quarant’anni ma cristallizzato nelle braci di sentimenti mai sopiti del tutto. Henrik e Konrad sono stati amici fraterni fino a quando la passione cieca per Krisztina del secondo e il desiderio di vendetta del primo non li ha separati. Incapaci entrambi di dare sfogo alle loro pulsioni fino alle estreme conseguenze, i due uomini scelgono l’isolamento: uno si autoesilia tra le pareti del castello che fu teatro del loro mènage à trois, l’altro fugge lontano nel “nuovo mondo”, rovente e mefitico inferno tropicale.
Le braci dei loro sentimenti diventano cenere nel diario di Krisztina che Konrad getta nella stufa, consegnando definitivamente al passato un segreto che ormai non ha più alcuna importanza svelare. Vanità, orgoglio, codardia, presunzione cedono il campo all’urgenza di trovare pace dopo quaranta anni trascorsi nell’attesa di questa resa dei conti che ha il sapore amaro dell’inutilità. Le domande incalzanti di Henrik si infrangono contro il muro di silenzio alzato da Konrad, costretto a mettere la museruola al cuore che vorrebbe guaire di dolore quando l’antico amico lo informa della morte di Krisztina. Lei, la donna delle loro vite, legata indissolubilmente al marito e all’amante perché complementari nelle reciproche diversità, ha deciso di andarsene per colpa della loro incapacità di accettare se stessi per quello che sono. Perché “essere diversi da ciò che siamo, da tutto ciò che siamo, è il desiderio più nefasto che possa ardere in un cuore umano”.
essere diversi da ciò che siamo, da tutto ciò che siamo, è il desiderio più nefasto che possa ardere in un cuore umano
Nessun sipario a segnare l’inizio e la fine dello spettacolo ma i rintocchi di un orologio che quasi annullano i pur lunghi due ventenni vissuti dai protagonisti lontani l’uno dall’altro. Nello spazio scenico del piccolo Eliseo di Roma il tempo acquista una dimensione assoluta, i dialoghi sublimati dalla profondità vocale di Renato Carpentieri e Stefano Jotti assumono a tratti il carattere di monologhi densi di interrogativi esistenziali che echeggiano nello spettatore.
Domande scomode che ci denudano e a cui in quel preciso istante non sappiamo come replicare, perché “alle domande più importanti si finisce sempre per rispondere con l’intera esistenza“.
Abbiamo visto:
“Le braci”, dall’opera di Sándor Márai, per l’adattamento di Fulvio Calise
Drammaturgia e regia di Laura Angiulli
Con Renato Carpentieri e Stefano Jotti
Produzione Teatro Stabile d’innovazione Galleria Toledo
In scena al Teatro Piccolo Eliseo di Roma fino al 9 febbraio
Si ringrazia l’Ufficio Stampa