Oh scusa dormivi, il paradosso dei 40enni (e dei loro amori)
“Vorrei essere quella che ami di più”. Si aggirano (anche) intorno a questa genuina, disarmante ammissione di debolezza le schermaglie protagoniste di “Oh scusa dormivi”, testo del 1992 di Jane Birkin – la 73enne attrice, cantante, modella, scrittrice londinese, icona della rivoluzione del costume e della morale della seconda metà del ‘900 – in scena al Ridotto del Mercadante fino a domenica 9 febbraio.
Un testo – in scena con la regia di Marcello Cotugno che ha curato anche la colonna sonora – che fotografa una notte di crisi tra un uomo e una donna, con contrasti e capitolazioni, in una scenografia azzeccatissima, notevole, di Dionisio Paccione – che ha ricostruito una delle vere case della Birkin – insieme alle luci di Carmine Pierri.
Sembra scoppiare fin da subito la coppia interpretata da Anna Ammirati e Paolo Giovannucci, poi scoppia sul serio, poi ritorna nei binari e così fino all’epilogo (a sorpresa).
Una generazione, quella dei protagonisti, cioè quella dei quarantenni, che si è probabilmente abituata al tenore snervante del prendersi e lasciarsi, dei “no” ai compromessi, che pure servono quando quel binario si percorre in due. Due che, in questo caso, si muovono da una parte all’altra di una stanza da letto che nel letto ha il suo fulcro ma non disdegna bauli di ricordi, cabine armadio e specchi in cui guardarsi e parlarsi, tra rievocazioni di ex e classiche accuse (che poi se citi tanto il tuo ex perché sei ancora qui?).
Spietate le reazioni dei due, e al contempo struggenti, e anche se fanno rabbia – ognuno per una ragione, o mille ragioni – fanno anche tenerezza, perché le domande che si pongono sono quelle di ciascuno di noi: sono le risposte che sono diverse. Perché al di là della voglia di incanalare ogni relazione, ogni duetto, ogni disputa in una categoria linguistica, la verità è che nessuno, al di fuori di loro (e al di fuori di noi) può realmente conoscere i piccoli, minuscoli, ridicoli, irritanti e bellissimi momenti che giustificano la sopportazione di un altro da sé. E se anche qualcuno li conoscesse, non li avrebbe vissuti, non li ricorderebbe sulla pelle, non li porterebbe scavati sul volto.
È qualcosa di non dissimile da quel che descrive Brunori Sas in “Per due che come noi”, risposta in note alla bellezza della familiarità. Ma questo basta? Un tessuto costruito insieme vale la pena a prescindere? E se ci fosse altro, a poterci rendere migliori, più felici, più divertiti, più tutto? E, soprattutto, c’è ancora tempo? Sembrano anche le stesse domande che sottendono a “Marriage story”, il dramma matrimoniale di Noah Baumbach, e quasi, restando al cinema, il testo di Jane Birkin potrebbe atteggiarsi a prequel naturale di “Kramer contro Kramer”.
Se il teatro vuole entrare nella testa di chi ne è spettatore, “Oh scusa dormivi” sembra fatto apposta. Restare insieme è mancanza di coraggio oppure lasciarsi è una vile resa? È necessario avere più pazienza o è più giusto non accontentarsi? È impossibile commentare senza una lunga serie di punti interrogativi, che, aggrovigliati all’altezza dello sterno, sono ciò che resta una volta che le porte del teatro si chiudono alle nostre spalle. Perché a quanto pare è difficile avere 40 anni oggi, ma non più che averne 15 o 70. Però, è tutto qui il bello dell’amore (e dello spettacolo): ci si può salvare comunque, ci si può perdere comunque.
Abbiamo visto “OH SCUSA DORMIVI” al Ridotto del Mercadante
di Jane Birkin, traduzione Giulia Serafini
regia Marcello Cotugno
con Anna Ammirati, Paolo Giovannucci
Si ringrazia l’Ufficio Stampa
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