Il viaggio della esasperanza
Io ve lo dico poi fate come volete.
Non parlo di Roma perché Roma, essendo la più grande città della Calabria, è sempre Sud estremo e quindi le cose storicamente e luogocomunemente non funzionano.
Parlo dell’operoso Nord-Est dove tutto è esemplare.
Dunque: sabato scorso mi imbarcai, io temeraria! – nel viaggio in treno Bergamo – Belluno.
Il treno partì da Bergamo puntuale e arrivò a Brescia con tipo un giorno di ritardo ed ivi morì definitivamente senza il beneficio della partenza a spinta.
Ma io dovevo necessariamente arrivare fino a Verona perché lì c’era una delle otto coincidenze che avrei dovuto prendere per arrivare a destinazione.
Come fu e come non fu, a Verona ci arrivammo con un altro treno che passò per Brescia e ci prese al volo.
Arrivati a Verona si dovette naturalmente cambiare il salvifico treno, sul quale eravamo benemeriti clandestini, e prendere quello per Padova.
Appena mi vide arrivare si riprese immediatamente, tipo calciatore juventino subito dopo che la concessione di un rigore, salimmo in carrozza e il treno partì.
Altrettanto naturalmente, anche il treno di fortuna preso al volo che ci portò a Verona (che era comunque un Frecciarossa quindi qualcosa di altamente prestante per gli standard italiani) fu in ritardo. Il superissimo Freccissima Rossissima arrivò a Padova un istante dopo l’orario di partenza dell’altra coincidenza per Belluno che però chimericamente era ancora lì. Lo guardai come si guarda un’oasi nel deserto tunisino il 19 agosto, e pensai: “Ok, gambe in spalla e ci provo”, e tutta in super tiro, elegantissima per il mio appuntamento, tacchi alti e cappello a larghe falde, con valigia al seguito, iniziai a correre per la banchina tipo Bolt ai tempi del primo record, con tutta la gente ai lati che mi incitava (ad un certo punto qualcuno deve aver toccato qualche bottone perché per evidenziare il mio eroico slalom scattò addirittura il rallenty) scesi le scale senza neanche vederle, feci il sottopassaggio, feci le scale per salire al binario dell’altro treno mentre le porte tentavano di chiudersi (e dico tentavano perché mio fratello Reno che era già lì, arrivato forse col teletrasporto, rimase fintamente svenuto su una porta del treno impedendone la chiusura e quindi la partenza).
Appena mi vide arrivare si riprese immediatamente, tipo calciatore juventino subito dopo la concessione di un rigore, salimmo in carrozza e il treno partì.
E poi ad una certa, devo dire, pure arrivò.
Belluno ci accolse trionfante.
L’indomani però, domenica, ebbi l’ardire di partire di nuovo (lo so che in fondo è colpa mia)
Treno Belluno – Montebelluna ore 7.30. Treno puntualissimo ma senza riscaldamenti. Fu come aver viaggiato, nel cuore delle Dolomiti all’alba, a meno 10, a 120 km orari, in moto e a maniche corte.
Comprammo un nuovo biglietto “lastminiuz” da circa un milione di euro, salimmo su un altro Italo e incrociammo tutte le dita a disposizione (anche quelle assiderate che per mancanza di elasticità alla fine si ruppero)
Piedi non pervenuti.
Arrivammo a Montebelluna puntuali e con la febbre a 42 e cosa successe? Meraviglie delle meraviglie? Stupore e dolore? Di domenica, in Veneto, dalle 9 alle 17, sotto Natale, i controllori si collocarono beatamente in sciopero. “Non si parte”, dissero. E con sussiego esercitarono il loro diritto di opposizione al governo locale (come non capirli, ndr).
Le stalattiti presero il posto delle unghie delle mani.
Aspettammo nel ghiaccio dolomitico dicembrino che un controllore non scioperante arrivasse.
Arrivò dopo un’ora.
Partimmo per Padova.
Per premiarci per la pazienza misero i riscaldamenti a 57 gradi. Vidi gente sciogliersi in 9 secondi come le ali di Icaro in prossimità del sole.
Viaggiammo tutti, col catarro già maturo, fino a Padova.
A Padova naturalmente il treno che doveva portarci a Roma non c’era più. Coincidenza persa. Allora salimmo su un altro Italo che andava a Roma (perché in due giorni io ho avuto l’incoscienza di prendere sia Trenitalia che Italo) già tutto pieno, sperando che l’umanità residua dei controllori non aderenti allo sciopero ci portasse definitivamente nella Capitale col costosissimo biglietto del treno precedente. E che ve lo dico a fare? Niente! Speranze tradite come nella migliore tradizione dei temibili e zelanti uomini che governano il mondo e fanno i capitreno.
Ci fecero scendere a Bologna.
Comprammo un nuovo biglietto “lastminiuz” da circa un milione di euro, salimmo su un altro Italo e incrociammo tutte le dita a disposizione (anche quelle assiderate che per mancanza di elasticità alla fine si ruppero), sperando che non succedesse altro perché io dovevo arrivare a Roma, andare a Fiumicino e prendere l’aereo per Catania (un Ryanair. Lo so, l’ho detto anche prima, è colpa mia).
Una volta arrivati a Roma però una mistica riflessione ci colse.
Ma il nostro appuntamento? Ebbene: avevamo passato due giorni in viaggio ad inseguire treni in modo così compulsivo che nella foga ci distraemmo al punto di non trovare il tempo di occuparci di quello per cui quel viaggio era stato fatto.
#noncipossocredere
#avevaragionechomsky
(foto da internet)