Guerra santa. Un nuovo gioiello al Piccolo Bellini
Guerra Santa, santissima, sacrosanta, necessaria ed inevitabile. Guerra Santa, eterna, incrollabile, pilastro del genere umano. Guerra in nome e per conto di dio, in nome di un essere inconoscibile che qualcuno in delirio di presunzione pensa di poter rappresentare. Guerra Santa, ispirazione di poeti e cantori. Guerra Santa, schifoso ossimoro antropologico. Guerra Santa, combattuta in nome di dio per affermare la verità e la giustizia, Guerra Santa in nome di un dio che per stabilire l’amore supremo su questa terra sventra e mette in croce anche i bambini.
L’impulso era di saltare in piedi, di inveire contro quella stronza terrorista di merda. Di chiederle mille volte perché, interrompere quel suo fiume di parole simile ad un vomito acido e nauseabondo
Al Piccolo Bellini ho riprovato quello scossone, quell’emozione, seduto in seconda fila per Guerra Santa, di Fabrizio Sinisi, con Andrea Di Casa e Federica Rosellini, e per la regia di Gabriele Russo.
Mi è costato molto rimanere in poltrona. L’impulso era di saltare in piedi, di inveire contro quella stronza terrorista di merda. Di chiederle mille volte perché, d’interrompere quel suo fiume di parole simile a un vomito acido e nauseabondo. Quanto aveva da parlare, da recriminare, da dire. Certo, perché se stai male, se senti il marcio salirti in gola, se stai per inabissarti nulla è più consolatorio che provocare dolore a chi sai per certo lo possa recepire.
Brutta storia su quel palco, attuale, dolorosa e divisiva. Due culture a confronto, due mondi in duello, due solitudini allo specchio, una Guerra Santa in pieno svolgimento. Straparlano i due protagonisti, e per una mia personale forma di cultura interiorizzata ho iniziato a fare il tifo per il prete cattolico. Poi per fortuna Saramago m’è venuto in aiuto. E ho iniziato ad ascoltare freddamente, scientificamente. Follia, assoluta follia. Leyla la jihadista e il prete cattolico, odiosi allo stesso modo. Estremi entrambi, e ciechi, e sordi, lì a celebrare il festival della voluta incomunicabilità. Dolore puro, sacrifici estremi in onore tutt’al più di un dio pagano di terza categoria; altro che l’altissimo, colui che declinato al maschile non è altro che la Natura, colei che genera vita, e non chiede di certo la morte per preservarsi.
Lo spettacolo va in replica fino al 2 febbraio. E vale la pena esserci. Per una serie davvero valida di motivi. Scene, luci, costumi, effetti sonori, tutto. Per gli attori, che erano nel personaggio con tutte le scarpe, nonostante i tempi di prova, ridotti all’osso, come ho avuto modo d’apprendere. Evidentemente l’efficacissima scrittura di Sinisi li ha catturati.
Ho visto gli occhi della Rosellini allagati di lacrime e il passo di Di Casa autenticamente pesante. Erano davvero Leyla e il prete. E a teatro non c’è qualcuno che viene a metterti le lacrime finte per poi ripetere la scena. Se hai gli occhi bagnati è perché la disperazione che racconti è tua davvero. Solo per settanta minuti; ma durante quel tempo, alcuni – quelli bravi – subiscono una metamorfosi.
Di grande suggestione la regia, pregio che ha restituito intatto il senso dello scontro
Ma in fondo, nel nostro quotidiano, quante volte ci comportiamo allo stesso modo? Simbolicamente forte il cedimento di entrambi i piloni di sostegno del cavalcavia sotto al quale è ambientata la storia. Ho voluto vederli come il cristianesimo e l’islamismo: crepano insieme. Facciamocene una ragione, siamo tante Leyla e tanti preti. E la Guerra Santa è stata è sarà sempre una stronzata.
Abbiamo visto “Guerra Santa” al Piccolo Bellini di Napoli
di Fabrizio Sinisi, per la regia di Gabriele Russo
con Andrea Di Casa e Federica Rosellini
Si ringrazia l’Ufficio Stampa
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