Solletico di peli
Libero, finalmente, scivolava lungo la strada come una biglia scagliata verso l’orizzonte. Era facile cogliere nei suoi movimenti leggerezza ed elasticità, appena un filo lo tratteneva dalla voglia di prendere il volo, nonostante il solletico ai piedi.
Ma Alfredo non sapeva volare.
Il giardino, il bosco e poi la pozza d’acqua e poi la collina, le vigne, gli alberi di nocciole, la casa, le case, la strada, le strade in discesa verso la pianura, i mandorli, il mandorlo.
Il sogno terminò ai piedi di quel mandorlo.
Il solletico era quasi una carezza erotica, un tremore di peli sulla cute bianca, ma l’evento molesto invece di infastidirlo gli dava piacere, perché era il segno di una prospettiva, l’indicatore di un posto esatto, il conforto di essere associato a un punto certo e delimitato.
Dopo la notte trascorsa insonne sarebbe arrivato il giusto sonno, dormire era la cosa più giusta da fare, per tutto il resto occorreva tempo.
Alfredo sapeva di letto, quell’odore evanescente ma pernicioso di cellule disperse tra lenzuola spiegazzate e cuscini pasticciati in cui sarebbe stato facile raccogliere un mucchio sparuto di capelli quasi grigi e ricchi di forfora.
Cento, mille vite e nessuna certezza, soltanto solletico di peli.
Alfredo aveva da ore, da molte ore, capito che qualcosa non funzionava alla perfezione.
Ricordava che dopo il compleanno di Lory aveva comprato i biglietti per la Traviata, pagato il condominio, telefonato alla sorella, cambiate le ruote della Opel, solo le due davanti, fatto il prelievo di sangue per gli esami di routine, prenotato il ristorante per il dopo teatro del sabato (ma quale sabato?).
Insomma tutte queste cose le ricordava bene, forse faceva confusione circa l’esatta sequenza delle azioni, ma era certo di avere compiuto con diligenza questi compiti. Come sempre avrebbe desiderato non fare nulla, stare fermo, godere dell’inerzia, dell’assenza, del vuoto, libero da obblighi o inciampi di qualsiasi natura. Un giusto rimedio per difendere l’equilibrio delle cose nel mondo, così compensando la frenesia che governava la vita degli altri, la vitalità eccessiva di tanti, lo spreco di risorse e di energie che tonificavano le impazienze meccaniche delle teorie evoluzionistiche. Giovedì, venerdì, sabato. No. Mercoledì, giovedì.
No. Lunedì, martedì, venerdì. Ecco, le date e i giorni non li ricordava proprio. Che tempo era adesso?
La coscia interna adesso friggeva, una piacevole sensazione di vitalità lo persuase che si trattava di una dinamica desiderabile, quel prurito, infatti, era una garanzia di normalità. Doveva solo riposare, dormire qualche ora, rilassarsi e tutto sarebbe ritornato al proprio posto.
L’avrebbe sposata Lory, se solo si fosse concessa.
Troppo rigida e indifferente ad ogni sua provocazione, era stato molto esplicito l’ultima volta: “Mi fido di te, hai una pelle lucida e morbida, il tuo sguardo mi ammalia, potremmo fare un viaggio da soli qualche volta, hai bei piedi, senza bozzi o calli, con te mi rilasso, non so cosa farei senza la tua amicizia, ma…”
Insomma tutte queste minchiate per farle capire che avrebbe voluto passare una notte con lei, che era pronto a fare il salto.
Niente, solo un poco di solletico di peli.
La notte dovrebbe rigenerare, trasformare, ricomporre l’equilibrio. Certo, eppure, lei lo tormentava, lo martellava di telefonate, quasi due volte al giorno, questa cosa lo faceva impazzire, ma Alfredo, come tutti gli innocenti, era insicuro, timido, aveva sempre paura di fare un errore, di fare un passo falso che avrebbe forse allontanato Lory per sempre dalla sua vita.
“Dai, ti prego, disdici con i tuoi amici e usciamo insieme…non mi lasciare sola!” Oppure: “Hai prenotato il cinema? E il ristorante? E e il teatro…?”
Niente. Alfredo era il suo pupo, faceva tutto ciò che lei desiderava, senza che mai, però, dallo sguardo di Lory cogliesse il palese, giusto, desiderato invito: “Guardami! Alfredo, eccomi, sono tua, vieni con me!!!”
Nonostante sapesse di essere il suo unico prezioso accompagnatore, il suo più fedele amico, uno al quale lei poteva chiedere tutto, era consapevole che questa storia doveva avere una fine, sarebbe stato semplice dichiararsi, osare di più, avere coraggio e confessarle il suo stato d’animo, ammettere, una volte per tutte, la sua pena d’amore.
Dormire adesso per mettere in ordine i fatti, allinearli bene, bene.
Quanto dura una notte?
Non riusciva a muovere le mani, intorpidite forse per colpa dell’alta umidità che da giorni, forse mesi, attanagliava Palermo, Alfredo avrebbe volentieri sciolto il nodo della cravatta che poi era quella del matrimonio di Carlo, quella che usava da anni anche per le prime del Teatro Massimo, “Peccato, speriamo che non si rovini”, si disse.
“Comprerò un nuovo Samsung, un televisore”, pensò, mentre un altro nuovo fastidio gli risaliva da un punto imprecisato dal basso, giù, sotto il tallone sinistro.
“Comprerò un televisore nuovo, ultra moderno, smart, wifi, bluetooth, grande, grande, comando vocale, con Sky, Netflix, Dazn, tutto, tutto, tutto…Giù, solletico al piede!”.
Era uscita in minigonna la sera del suo compleanno. Lory era luce, era una stella, ogni parte di lei era parte del sogno di Alfredo, come una massaggiatrice thailandese disposta a tutto spargeva lucidi bagliori, abbagliava quando sgranava gli occhi e quando avanzava le sue gambe illuminavano le strade e i muri dei palazzi si lucidavano di giallo.
Quella notte il suo riflesso seppellì ogni altro colore.
Alfredo aveva speso per la Traviata duecentosessanta euro a persona per una poltrona in prima fila. Li avrebbe risparmiati ben volentieri, con sessanta euro la quinta fila di palchi sarebbe stata un’ottima postazione, laterale, forse troppo laterale, certo, ma essenziale è la musica, ascoltare la musica è più importante, Verdi è Verdi. Del resto avrebbero visto bene bene la scena quando Violetta si fosse trovata sul lato opposto del palco e avrebbe risparmiato un sacco di soldi, per il televisore…poi dentro il palco sarebbero stati loro due soli, solo loro due, vicini e poi il buio, il calore, il canto, il rosso velluto della tenda…
Spesso si muore durante la notte, forse era già morto.
Non avendo alcuna certezza con la punta del naso Alfredo provò ad annusare l’aria intorno. Un profumo dolce-amaro, aglio, melanzane fritte, calzini sudati, poi tabacco, pipì, carta e fumo. Niente di tutto questo gli fu utile.
“Chissà dove aveva conservato i biglietti del teatro”! Pensò.
“Sognerò, cavolo! Sognerò! Calma: è notte, calma, è solo notte”. Si disse.
Il cielo non sembrava ostile, le nuvole basse smorzavano le luce della luna e l’interno della sua cabina adesso odorava di naftalina. Un volo tranquillo senza sobbalzi e privo di scossoni laterali, alla fine l’avrebbe riportato in vita, forse un’altra vita o forse no, ma che importanza aveva tutto questo? Ci sarebbe stato tanto tempo per decidere.