Mezzogiorno di fuoco
E’ quasi mezzogiorno, ma le persiane sono ancora chiuse, la stanza immersa nel buio. A Lucia piace stare ferma sul letto ad ascoltare il suono della vita fuori. A un certo punto, passi nervosi verso la porta a vetri, che si spalanca fragorosamente, strappandole un lamento.
“Svegliati un po’, hai ancora la valigia da disfare, nullafacente!”
Sono tre giorni che è tornata dal suo viaggio studio negli Stati Uniti ,la nullafacente. Mesi e mesi dai parenti a preparare la tesi e a tentare di dimenticare per un poco il suo nome e il suo amore resi inutili da una storia senza futuro. E’ sempre stata un tipo pratico, lei, una da piano B e da asso nella manica. Testarda come un mulo, la lingua lunga, la mente brillante e un cuore di damina dura e pura ottocentesca che aveva sempre rovinato tutti i suoi piani strategici. Troppo fuori tempo quei valori, troppo in alto i suoi obiettivi. Tra i suoi coetanei o anche più grandi trovava solo idioti, cacciatori di gnocca o palloni gonfiati, che se ne fregavano dei suoi slanci romantici. E aveva anche voglia di non sentire per un bel po’ le urla stridule della madre con cui era in guerra dalla nascita. Caratteri simili e opposti ideali purtroppo fanno così, combattono. E si esce entrambi sconfitti.
Risponde senza espressione: “Che fretta c’è? Tanto nella mia stanza ci devo stare io, appunto…non penso che rischiate di inciamparci, nella valigia…”
“Ma che cavolo c’entra, è il gesto di ignoranza che mi dà fastidio. Sei tornata da giorni e le tue cose sono ancora ad ammuffire là dentro!!!”
“Non ci sta niente che si rovina, stai tranquilla. E poi il tuo regalo te l’ho già consegnato, mi pare!”
“Bel regalo davvero, dall’America… e attacca il tono drammatico, dopo la pausa ad effetto. “Uno straccio!”
Lucia scatta a sedere sul letto, il gatto che le dormiva in grembo si dilegua in un secondo, riconoscendo l’inizio del conflitto mondiale. Guarda la madre con un’espressione inorridita poi distoglie gli occhi pieni di lacrime rabbiose, che non vuole mostrare. Con una specie di latrato comincia il contrattacco: “L’avevo cercato per settimane, quello straccio. Da loro e anche a New York. Poi tua sorella mi ha portato dall’amica sua stilista a Brooklyn. Lei sapeva i tuoi gusti, diceva… da snob incontentabile del cazzo. Quello straccio mi è costato un mese di stipendio al ristorante, se proprio lo vuoi sapere, mammina”.
“Ma che volete sapere voi? Non sapete proprio niente, niente…”
La donna decide a sorpresa la ritirata ed esce dalla stanza stranamente quieta, chiudendosi la porta alle spalle. La ragazza rimane con gli insulti che la sua mente stava già immaginando a mezz’aria, seduta sul letto con le occhiaie e i pensieri arruffati. Sconfitta, perché si rende conto di aver toccato senza volere un punto troppo doloroso. E come sempre, in questi casi, sente il bisogno di allontanarsi dallo spettacolo del dolore. Si alza di scatto, infila jeans e occhialoni, un cappello da sceriffo per nascondere il pagliaio di capelli e grida dietro la porta chiusa, ha una voce squillante di rabbia che fa tremare i vetri: “Comunque non mi contate per pranzo, esco adesso che ho lezione presto. La sistemo stasera la valigia!” Esce correndo sul pianerottolo e le appare chiaro il motivo reale di quella negligenza, il pianto irrefrenabile che aveva fatto davanti alla proiezione di Moonstruck durante il viaggio di ritorno, che invece era un film da ridere, il motivo per cui aveva ridotto il fiume di parole solito a pochi monosillabi. Da giorni. Non la riconosceva più la sua casa, la sua gente. Era quello il suo jet lag al ritorno da ogni viaggio, pensava, resettarsi ogni volta per riprendere la sua storia. E cominciare ogni volta da capo, ma senza comprenderne il senso profondo. Sente le urla della madre dietro di sè: “Se non la sistemi te la butto per le scale, sta valigia!” C’è rabbia, ma le trema la voce. Anche lei ha capito di aver esagerato ma figurati se ammetterà l’errore. Le madri non sbagliano mai. Poteva mai confessare le notti insonni a pensarla lontana, la voglia di sentire la sua risata fresca a cui un telefono non rendeva mai giustizia, di vedere quegli occhi enormi puntati in viso con mille interrogativi. i suoi abbracci, le sue battute buffe. Non poteva. Mostrarsi fragili e sentimentali è uno “sbaglio”. E le madri non sbagliano mai.