Dieci minuti, nuvole e vento
Ho preso dieci minuti per me.
Li ho predisposti in fila, preparati per bene, confezionati con cura.
Ho comunicato rapidamente la decisione alle donne di casa e prima di qualsiasi reazione uguale e contraria, ho infranto il muro del suono saettando fuori dalla amata dimora.
Appena messo piede al di là del cancello di casa ho avuto un’epifania sottile e luminosa come un sussurro.
Un uomo a pochi metri da me, mi sono accorto, cammina nella mia stessa direzione al mio stesso passo, forse solo un po’ più rapido. Guadagna un metro ogni dieci secondi.
Se camminiamo abbastanza a lungo mi fuggirà davanti inesorabilmente.
Indossa una camicia sui toni del marrone, di quelle a quadri grossi e di flanella, che assomigliano più a un giaccone stile taglialegna. Tiene le braccia larghe, in una strana posizione, mentre cammina e si allontana. Lo seguo involontariamente ancora con lo sguardo per qualche istante.
Il vento schiaffeggia il fondovalle, i fianchi di mezza montagna e le cime in alto, con una violenza pervicace e superba che quasi mi sconvolge.
Le vette resistono all’urto ma la neve sulla cresta, polverizzata dalla sferza ascendente, si solleva in alto verso il cielo, oltre le cime, in graffiti vaporosi di nuvola.
Questa frusta celeste per due o tre giorni continuerà a spazzare la valle, come dice il meteo Mercalli, ed io dovrò farmene una ragione.
Così come il tipino surreale proprietario della libreria in cui sono appena entrato, titolare anche di un paio di occhiali fondo di bottiglia e di capelli lunghi da scienziato folle, dovrà farsi una ragione del fatto che in dieci anni ha dimezzato i propri affari, sotto l’imperio dell’acquisto digitale.
Pago in contanti i due libri che ho comprato, annuisco comprensivo e gli auguro tutto il meglio possibile per il destino della sua impresa titanica di resistenza.
Un luogo benedetto come quello dovrebbe godere, solo per questione di principio, di un diritto alla sopravvivenza, penso io, un lasciapassare speciale contro agguati amazonici di qualsiasi tipo.
Saluto, spingo la pesante porta a vetri del negozio e riabbraccio il gelo di fine dicembre contornato da pensieri ventosi e da una strana gratitudine.
La mia salute fa cilecca in questi giorni e prima o poi dovrò realizzare di non avere più vent’anni da vent’anni almeno.
Il corpo che mi porto addosso ha date di scadenza sparse un po’ dovunque, come ovvio, ma le vacanze sono iniziate da solo qualche ora e così mi ritrovo ad ascoltare il cielo.
Poche sere fa la cinquenne in pigiama, prima di andare a nanna, ci ha comunicato ufficialmente che avrebbe preferito essere una nuvola piuttosto che una deliziosa bambina dalle idee originali.
Vedendo sulle cime quella neve cristallina in metamorfosi, trascinata senza opporre alcuna resistenza in direzione dell’abisso celeste, mi viene adesso da risponderle a distanza amore mio quanto mi piacerebbe essere nuvola con te.
Trasferirmi dalle rocce al cielo, evaporare i miei cristalli molecolari e cominciare a danzare tra flutti trasparenti e salti pieni di fiducia.
Le tue motivazioni sono certo esistenziali e profonde, piccolo amore, le mie invece tutto sommato futili e poetiche.
L’evanescenza è stata un mio cavallo di battaglia, un vezzo giovanile che tende a riaffiorare raramente. Devi sapere, amore mio, che ho sempre fatto un grande sforzo per capacitarmi di essere composto di materia bruta come tutto ciò che in natura ci circonda.
Rocce, neve, vento e persino le tue amate nuvole sono materia travolta da forze naturali.
Questo lo capisco bene adesso, braccato come sono da acciacchi di stagione e di maturità.
Certo l’esistenza è altra cosa. Significa sapere di soffrire come anche sapere di volare in alto tra cime di neve e saette di vento: quindi hai ragione tu, amore bambino, come del resto sempre (da quando ti conosco).
Niente che non abbia un’anima esiste veramente e tu vuoi esser nuvola per sottrazione d’anima e di preoccupazioni.
Ma tu mi dici, allora, che non vorresti avere avuto il tuo talento delizioso che si ritrova a immaginare trasmutazioni simili?
Mi coglie di sorpresa sempre la tua speculazione.
Non so rispondere a una pretesa simile anche perché non so da quale luogo venga la tua anima, per ricacciarla indietro e accontentare il tuo capriccio metafisico.
Ma forse è meglio che il capriccio passi senza un mio intervento, come accadrà al vento e a tutto ciò che lo riguarda.
Il vento si è calmato ormai da molte ore.
Il cielo è limpido, adesso, come se dovesse piovere luce per l’eternità e due, tre, quattro scie sfolgoranti di aeroplano lo attraversano in alto, in direzioni diverse, Parigi, Milano, Monaco, Napoli, immagino.
Il tipino della libreria torno a trovarlo appena posso. Mia figlia in questi giorni vuole essere una cagnolina di nome Stella, che manifesta una spiccata passione per la musica lirica, il solletico e gli involontari giochi di parole. L’uomo dalla camicia a quadri non ho la più pallida idea di dove sia sparito.