Ad ognuno il suo inferno (e la sua redenzione)
Chi vi scrive non è propriamente un credente modello, diciamo anzi che non lo sono affatto, ma come tanti laici credo che nelle storie narrate nella Bibbia si possano trovare molti spunti di riflessione interessanti. Quella del Vangelo è sicuramente la parte che ha affascinato di più artisti e scrittori, basti pensare alla Buona Novella di De Andrè o al Vangelo secondo Gesù Cristo di Saramago, ma io molto più volgarmente vi parlerò di Lucifer, serie tv di Netflix con Tom Ellis e Lauren German.
Lucifer è una serie tv il cui personaggio principale è un Diavolo che, stanco dei millenni passati all’inferno, decide di stabilirsi sulla terra, in particolare a Los Angeles (quale posto migliore della città degli angeli). La storia è tratta, o perlomeno ispirata, dai fumetti di Neil Gaiman, cosa che ha immediatamente attirato la mia attenzione essendo un suo grande fan. La cosa che colpisce di più in questa serie è che, analogamente al fumetto, sovverte completamente l’immagine che siamo abituati ad avere del diavolo. Lucifer infatti si rifiuta di essere considerato come il cattivone della storia, e a suo favore porta degli argomenti che andrebbero quanto meno presi in considerazione.
In primis, dire che il regnante dell’inferno è il cattivo più cattivo di tutti è un po’ come dire che il direttore di un carcere è un criminale peggiore di quelli che stanno nelle celle. Di fatto, lui punisce i cattivi, non i buoni (che vanno in paradiso). La storia narrata nella Bibbia, inoltre, ci dice che Lucifero, un tempo angelo glorioso, cominciò a peccare di superbia fino a guidare una ribellione contro Dio. Persa la guerra, fu scaraventato all’inferno insieme alla sua combriccola di angioletti ribelli (i quali furono trasformati in demoni) e ne diventò il sovrano.
Ma se Dio è onnisciente e onnipotente, la ribellione stessa potrebbe essere stata architettata dall’Altissimo. Un tassello del suo grande progetto che nessuno, nemmeno il diavolo, sembra conoscere. Senza saper più se è padrone o no delle proprie azioni, Lucifer va fuori di testa. Non è chiara, inoltre, la genesi del male: se esisteva già prima della ribellione, allora non può che averlo creato Dio; se non esisteva prima, non si capisce la natura del risentimento e della superbia di Lucifero nei confronti di Dio; infine, se l’ha inventato l’uomo con il peccato originale (mangiando la famosa mela), non si capisce il serpente tentatore da dove salti fuori.
Troppo facile allora dare la colpa al diavolo, l’unico che domandò ad Eva, una donna creata appositamente per riprodursi con l’unico omo sulla faccia della terra, cosa volesse veramente. Come sarebbe troppo facile dire “il diavolo me l’ha fatto fare” in merito al proprio agire. L’inferno di Lucifer (nel telefilm) non è fatto di fiumi di lava, né di demoni coi forconi: chi vi finisce è condannato a rivivere in eterno le cose per cui egli stesso si colpevolizza. Una visione rivoluzionaria che ribalta completamente il sistema morale spostando il focus da “ciò che è bene o male” secondo un criterio esterno a sé (in questo caso Dio) a “ciò che io credo sia giusto o sbagliato”. In altre parole, una visiona che restituisce la palla agli uomini, liberi e responsabili delle proprie azioni.
È un’ipotesi suggestiva, un espediente che mantenendo alcuni punti della narrazione biblica e completandone o stravolgendone altri trasforma il discorso su un ipotetico castigo dopo la morte in una spinta a guardarsi dentro. Lì dove magari l’inferno è già in atto, lì dove già si soffre per i propri errori. Quale redenzione, ammesso che ci sia, per noi che la vorremmo in questa vita? La risposta è semplice: la palla ce l’abbiamo sempre noi. Noi ci spegniamo, noi ci accendiamo. Noi scegliamo a oppure scegliamo b. Scegliamo di capire o di non capire. Scegliamo di scegliere o di non scegliere. Scegliamo di costruirci un paradiso dentro, o solamente un inferno. Ma pure un purgatorio va bene.