Alla cantata ancor manca la Diva!
“Alla cantata ancor manca la Diva, e strimpellan gavotte.”
Così canta Scarpia all’inizio del secondo atto della celeberrima Tosca di Giacomo Puccini.
Operazione social la scelta del Maestro Riccardo Chailly di proporre Tosca per l’inaugurazione della stagione lirica più attesa al mondo: la Scala di Milano.
Così centodiciannove anni dalla prima sfortunata realizzazione al teatro Costanzi di Roma il direttore d’orchestra, nel rispetto filologico dello spartito, ritrova otto frammenti mai più eseguiti e arricchisce di piccole gemme una delle opere più pop del repertorio operistico. Ciò ha sommato strimpello di gavotte ma alla “cantata ancor manca la Diva”.
Operazione social quella della televisione di Stato che propone l’evento come uno sfavillare di lustrini e labbra al silicone insieme ad interviste intrise di banalità e ridondanze.
Da sempre l’inaugurazione della stagione scaligera è stata un evento mediatico di grande risonanza e il momento clou per gli appassionati del teatro lirico.
Negli anni “d’oro” della lirica ai vertici dei teatri i Sovrintendenti Italiani e illuminati riunivano cast stellari e registi di chiara fama. La bacchetta sicura ed esperta di Riccardo Muti era garanzia di successo assicurato.
“Alla cantata ancor manca la Diva”.
In realtà la Diva è arrivata ma soltanto nel foyer alla fine del primo atto: Raina Kabaivanska con il suo charme e la sua ironia e arguzia ha illuminato l’intervallo. Lei dall’alto della sua esperienza nel repertorio pucciniano e in particolare con il personaggio della Tosca ha ricordato che Floria Tosca è doppiamente diva: come personaggio e come interprete.
La regia di Davide Livermore ci è sembrata con spunti interessanti forse, a tratti, imprigionata in un linguaggio non appropriato al teatro d’opera rendendo i cambi di scena macchinosi invece che “in trasparenza” come forse era sua intenzione. Secondo il mio parere Tosca non è la prima opera di impronta verista ma l’ultima grande del periodo romantico. Nell’animo di Scarpia si alternano tempesta e impeto mai dimenticando la sua condizione sociale di Barone capo della polizia papalina.
Indossare i panni di Scarpia significa sapere usare tutte le sfumature vocali che il registro baritonale ha nelle corde per sua natura.
Urlare la passione per la protagonista e agitarsi, ulteriormente penalizzato da un costume di scena ormai di routine da colonnello della Gestapo, dimostrano una lettura superficiale del personaggio e una vocalità inadeguata per il ruolo.
Forse la mia è una voce fuori dal coro e sicuramente tacciata di gusti vetusti perché il poker di artisti scesi in campo (tra i tre principali includo il comprimario di lusso, Alfonso Antoniozzi) è tra i più richiesti di questi ultimi anni nei maggiori teatri internazionali malgrado ciò, io resto dell’opinione che la sera del sette dicembre di quest’anno “Alla cantata ancor manca la Diva” era presente solo il divismo costruito dal marketing.