Colombia al Cuadrado
Ho parlato spesso delle mie radici in questo spazio.
Mentre una ramificazione se ne va allegramente verso l’area Mediterranea, dice “amunì” e mangia arancine per Santa Lucia, l’altra diramazione viaggia veloce al di là dell’Atlantico.
Da quando sono diventata mamma tento in tutti i modi di tramandare con una certa urgenza la parte di me ormai in ombra dopo vent’anni di siciliana intensità.
Guarda figlia, dicevo a Manu mentre percorrevo lo spazio dell’oceano sul planisfero con il dito, mamma è nata in Colombia e ha fatto tutto questo viaggio per venire qui, hai visto? Non è bello? Vuoi chiedermi qualcosa?
Sì mamma, mi ha risposto, com’è che non ti hanno mangiato gli squali?
La mamma non è arrivata a nuoto, le dico.
Dopo questa rivelazione, chiaramente, ha perso ogni interesse nella vicenda.
Inoltre dovete sapere che tale Juan Cuadrado è l’unico colombiano che conosca io a Torino e questa unica qualità lo rende agli occhi miei e di mia mamma come uno di famiglia
Sto facendo i conti con queste radici che tento di tramandare alle mie figlie, con lo spagnolo che tento di insegnare al filosofo ormai da dieci anni, col cibo che provo a preparare con ingredienti che non ricordo più neanche come sono fatti. Faccio i conti ogni giorno, con questa mancanza continua e sorda che torna a ondate come il mare.
E che irrompe con più forza, quando si avvicinano le feste.
Per cui, anno dopo anno da quando sono a Torino, me ne vado in un mercatino latinoamericano dalle parti di Via Germanasca a procacciare qualche ingrediente utile a preparare ricette colombiane, oltre a bevande zuccherate tipiche, aguardiente, papaya, dolci, platani, bocadillo… tutto sotto lo sguardo divertito e soddisfatto del proprietario, che ha trovato nella mia nostalgia un’ottima fonte di guadagno.
Inoltre dovete sapere che tale Juan Cuadrado è l’unico colombiano di cui sappia io a Torino e questa unica qualità lo rende agli occhi miei e di mia mamma come uno di famiglia. Sappiate anche che è un famosissimo giocatore della Juventus e nonostante io non sia interessata al calcio chiedo candide notizie e conferme ogni fine settimana ai tifosi juventini della famiglia: tutto bene Juan, dico? Ha giocato bene? Si è fatto male?
Qualche settimana fa, quelle classiche domande che pongo al cosmo con gli occhi rivolti all’insù in mezzo al gelo e allo stress (facciamo che chiudo gli occhi e mi sveglio a Bogotà insieme agli amici, o in una casetta coloniale a Tuta oppure a mangiare il sancocho a casa della tia Luz a Ibaguè?), hanno trovato risposta mentre camminavo distrattamente in Via San Secondo a Torino.
Io ho visto la luce: Cali Sabor, restaurante colombiano, recitava l’insegna rivelatrice.
Appena entrata nel locale mi sono ritrovata come in un qualsiasi localino di una qualsiasi strada trafficata colombiana: c’era la classica miniatura di una chiva come soppramobile (un folkloristico pullman senza finestre colorato), una piccola rappresentazione di balconcino coloniale con fiori, il rosario e le bandiere della Colombia e del Deportivo Cali appesi alle pareti. Musica salsa di sottofondo.
Mi riceve un signore che mi dice, buenas tardes, soy Juan.
Come Cuadrado!, dico io.
Si ma noi siamo di Cali, chiarisce lui.
Mi presenta alla signora Jennifer, incaricata della cucina e mi indica con orgoglio il menù, composto dalle delizie che mi aspettavo.
I buñuelos che mangiavamo da piccoli a casa durante il Natale.
La picada di carne che sceglievamo con gli amici nelle bettole in cui ci fermavamo a mangiare durante le gite.
I patacones come li prepara la tia Luz alla Floresta.
Il maduro con queso che ci cucinava la temuta Rosario a Ibaguè.
Proust deve gran parte della sua fama a questo rapporto tra cibo e memoria, non sta accadendo niente di nuovo sotto il sole, eppure sono sempre momenti meravigliosi quelli delle madeleine che viviamo noi piccoli migranti fiduciosi. Ritroveremo la strada di casa.
Incontrare questo luogo, i sapori dell’infanzia, il calore delle persone è un regalo speciale che ha fatto questo periodo a me, alle bambine, al filosofo, agli zii di Villareggia, ai colleghi valsusini, a tutti quelli che tento di convertire romanticamente alla colombianità e che consiglio vivamente anche a chi della Colombia non sa niente. Cari torinesi che seguite facciunsalto, uscite da Netflix e dal mondo della “plata o plomo” e andate a conoscere le tradizioni, il cibo, le persone vere; fatevi raccontare tante cose belle.
Se poi tra i nostri lettori qualcuno conosce Juan Cuadrado, ditegli per favore di venire a pranzo al Cali Sabor di via San Secondo da Juan e Jennifer, con me e la nonna, che facciamo pure una parranda (festa!) navideña come si deve.