I peccati di Simone (feat. testosterone a mille)
Il fatto è che stavolta non andava fatto. Il giorno dopo c’era l’interrogazione e non è che fosse particolarmente preparato. Ed era venerdì. Quello dopo giocava contro la Virtus, che era prima in classifica e con una difesa davvero notevole. Ed era sabato. Quello dopo ancora c’era il compleanno di Andrea e ci sarebbe stata pure Giulia. Che non gli dispiaceva per niente e forse c’era qualche speranza, ma era ancora tutto da vedere. Ed era domenica. Il fine settimana era alle porte, insomma, e non era cosa. No. Simone sbuffò e stese entrambe le mani sopra il libro di letteratura latina. Le guardò. Gli parve che quel poco di unghie ancora rimasto fosse in procinto di sprofondare nel magma carnoso dei polpastrelli. Anche questo non era cosa, a dire il vero. Poi alzò lo sguardo. Una cartina geografica. Due poster. Quattro cartoline. Due santini della Madonna. Dieci figurine di calciatori. Scarabocchiate, un paio. Un crocifisso in cartone. Il suo mondo, dalla seconda media in poi, era tutto lì. Davanti alla scrivania dove ogni pomeriggio studiava. Chiuse gli occhi, portò la mano all’inguine. Chiara, tu sia maledetta, cazzo. La tua fottutissima gonna, Chiara.
Del resto, era una cosa già sperimentata. Certe cose non andavano fatte in prossimità di avvenimenti importanti. In prossimità dei weekend, per esempio. Altrimenti tutto sarebbe andato in malora. Il lunedì, ok. Il martedì, pure. Il mercoledì tutto sommato poteva ancora andare. Ecco, dal giovedì in poi diventava un problema. Il giovedì, ancora, in casi estremi lo si poteva permettere. Si chiedeva perdono, nel caso. Si prometteva qualcosa di importante. Un fioretto, insomma. Una pausa fino a Natale sarebbe stato il massimo. Era già successo che si prodigasse in una tale penitenza, a dire il vero. Era successo l’anno precedente attorno al mese di novembre. Natale era tuttavia ancora lontano. Il seno di Giada, invece, pareva nutrirsi dei pochi raggi solari che filtravano dalla finestra accanto al banco di scuola. Ma ce la poteva fare, Simone. Due tette. Due belle tette, certo. E Giada lo sapeva benissimo e quelle magliette, cazzo, sempre più strette. Ma si, Simone ce l’avrebbe fatta. Poi arrivò la gita al museo archeologico. La dea madre, il suo seno gigantesco. La guida aveva detto che il viso non era stato nemmeno abbozzato. Ciò che importava era altrove, le parti del corpo prettamente femminili, simbolo di fertilità. Due tette da fare impressione. Tipo quelle di Giada. No, decisamente la guida aveva sbagliato, un viso la statuetta lo aveva e anche ben definito. Quello di Giada. Fine. Una settimana dopo, mentre il pallone da lui calciato a porta vuota prendeva la direzione del palo, Simone rivide in rapida successione la dea madre, Giada con la sua maglietta aderente bianca seduta accanto alla finestra e infine lui chiuso in bagno. Il depliant del museo cittadino sulla lavatrice, la foto di classe in precario equilibrio sul bidet, i pantaloni abbassati. Non aveva rispettato la promessa e dall’alto era stato punito con un goal sbagliato a porta vuota. Troppo impegnativo come fioretto. Nella doccia, dopo la partita, Simone pensò che la volta successiva avrebbe optato per trenta Padre nostro o quaranta ave Maria. Decisamente meglio.
Plauto non poteva nulla contro le gambe di Chiara. Era meglio se lo mettesse in testa da subito, il latino. Che si prendesse su le sue commedie e andasse a fare in culo. Quando Chiara metteva la gonna di jeans, quella che arrivava giusto a metà coscia, era un disastro. “Merda” diceva Simone ogni volta la vedeva entrare in classe in quella mise. Che poi, pensò Simone mentre con la mano destra giocava con il nodo dei pantaloni della tuta, perché solamente io devo essere punito? Chiara? Giada? Le loro istigazioni? Quello non vale?
Si alzò e andò in cucina a bere un bicchiere d’acqua. L’apice del pino in giardino era scomparso nella nebbia. Erano le quattro del pomeriggio eppure era praticamente buio. Nell’appartamento di sotto qualcuno ascoltava la radio. Davanti a sé, in un altro condominio, la luce intermittente e colorata di un televisore. Un tombino in strada intercettava le ruote di sinistra di ogni vettura. In casa non c’era nessuno. Tutti al lavoro. Sotto la finestra un calorifero rovente riscaldava la zona inguinale di Simone. Lo trovò piacevole e si allontanò di quel tanto per non rimanere scottato. Non di più. Posò il bicchiere nel lavandino e fece due passi per la casa. Tutto sommato avrebbe resistito alle gambe di Chiara. Si, ce l’avrebbe fatta. Uno sforzo immane, ma ci sarebbe riuscito. In cambio di una fatica del genere, del resto, immaginò un weekend a dir poco glorioso. Fu allora che vide sul tavolino dei giornali in sala una rivista patinata che parlava di Tv. Roba di sua mamma, di sicuro. Era ancora rivestita del cellofan. In copertina una scritta diceva: La settimana del calcio. Sottotitolo: segui con Alice le squadre italiane impegnate nelle coppe europee. E Alice lo guardava dietro al cellofan. I capelli rossi, mossi. Lo sguardo da rapace di area di rigore. La maglietta del Napoli tirata su. Le mutandine nere. E niente più. Alice.
La mattina seguente Simone guardava la città dal finestrino di un bus. Con un braccio aveva levato la condensa dal vetro per quei pochi centimetri da consentirgli la vista dei fari delle auto, dei lampioni accesi e degli ombrelli che avanzavano dondolanti sui marciapiedi. La pioggia si raccoglieva sul vetro in un paio di rigagnoli. Una signora seduta nel seggiolino di fronte leggeva la rivista di Tv di sua madre. Alice non lo guardava più. Il suo sguardo puntava altrove. Verso sinistra, si sarebbe detto. Sedotto e abbandonato. Simone ricordò le parole della madre la sera prima: “Se vuoi leggere le mie riviste sei pregato di rimetterle al loro posto e non lasciarle in giro. Sul bidè, poi. E il cellofan buttalo via, non lo lasciare in giro, non ci sarà sempre tua madre a gettare l’immondizia. Devi imparare! Simone devi imparare”. Il cellofan. Appallottolato in fretta e furia e buttato sul tavolo dei quotidiani. Il simbolo della sconfitta.
Alice. Alice. Simone sbuffò. Guardò la signora sfogliare la rivista. Non pareva interessata praticamente a nulla di quanto vi era stampato. Alice, pensò, io per te ho buttato via il weekend che sta per venire e tu manco più mi degni di uno sguardo. Io per te sarò interrogato, giocherò di merda, Giulia si accoppierà con qualcun altro e chissà che cos’altro mi capiterà come punizione. Maledetta, Alice. Fanculo tu e il Bayer Monaco.