L’aspirapolvere delle onde theta
Sveglia alle sette, lava la faccia con acqua fredda così sarai più reattiva in meno tempo. Vestiti prima di fare colazione: in un morbido pigiama di pile il tuo corpo continuerebbe a poltrire. Bevi un doppio caffè: metà da solo e metà nel latte, e ogni strascico di sogno svanirà. Nel dormiveglia siamo immersi in onde theta: cacciale via una ad una. Risucchiale. Attivati!
Esci, prendi il tram, metti in cuffia un brano trap che risucchi ogni poesia a questa mattina uggiosa.
Svegliati!
Questo è il canovaccio della routine di un lavoratore o studente medio, attorcigliato quanto basta per mantenere fermo l’obiettivo finale: svegliarsi, rendersi produttivi prima possibile.
ASAP.
In infanzia, però, abbiamo tutti vissuto un periodo in cui non eravamo immersi nelle onde teta soltanto la mattina ma anche in altri momenti del giorno: queste onde determinano una sorta di stato ipnoide che crescendo, disabituandoci a coltivarlo, releghiamo in spazi sempre più ristretti, al rango dell’inutilità.
Eppure è in quei momenti, in quello stato di creatività senza forma, di disegni mentali che non conoscono margini, che nei nostri tracciati encefalografici ci sono onde theta e ci ritroviamo inzuppati in uno stato di potenziale, puerile creatività.
È come passare dall’essere il bambino che costruisce cento volte e poi cento volte distrugge la stessa torre di bastoncini di legno soltanto per il gusto di farlo e vederla franare, al farci imprenditori stakanovisti concentrati solo sull’obiettivo finale: passare dal gusto di vivere il momento alla cieca fretta di raggiungere un fine.
Ci svegliamo adulti e ci addormentiamo bambini, perché, mentre non ci facciamo caso, quello stato onirico torna, per fortuna. Che bella quell’infanzia così focalizzata sul gusto estremo per l’azione, così noncurante del risultato!
L’altra notte ho sognato qualcosa di confuso: c’ero io che chiedevo un gelato alla sabbia e un’équipe di gelatieri che mi servivano un cono con, invece della cialda di guarnizione, un guscio d’ostrica. Lo accettavo di buon grado. Ho fatto il possibile per trattenere questo ricordo che mi raschiava il pensiero al risveglio, mentre nel caffelatte inzuppavo banali biscotti ai cereali. Ho fatto il possibile per ripescare con l’amo di una distratta concentrazione il ricordo latente di un’esperienza appena vissuta in qualche altra dimensione. Ho fatto il possibile per non cadere nella trappola del cellulare, della scaletta scritta delle cose da fare in ordine di importanza, dell’analisi SWOT mentale automatizzata di ogni azione. Ho fatto il possibile per non mettere i risultati prima delle azioni.
Anche perché mi chiedo: cosa faremo, alla fine, accumulando risultati?
Oggi ho puntato la sveglia anzitempo, tre ore prima dell’orario di lavoro. Quando ha suonato ho valutato l’ipotesi di rimandarla un’ora almeno, poi ho ricordato il mio proposito e mi sono alzata lo stesso.
Ho fatto colazione in penombra, in pigiama, senza fiatare e lontana da dispositivi elettronici. Ho letto qualche pagina di un libro sulla creatività e ripensato ai miei sogni: li sentivo ancora saltellare attorno a me, insieme a tutte le onde theta, con le loro piume multicolore, affacciate al balcone, pronte a spiccare il volo. Meravigliose e delicate come farfalle che volerebbero via al primo rumore. Come per magia, sono riuscita ad essere leggiadra abbastanza da non spaventarle. Era ancora l’alba, avevo davanti ore di adorazione di un meraviglioso spazio bianco in cui ripescare sogni, plasmare pensieri prima che il ticchettio ansiogeno della routine ne deviasse il tragitto, avevo mille post-it su cui scrivere con poco o nulla di tracciato.
Poi è arrivato il sole, immancabilmente, mi son lavata il viso con acqua fredda e vestita. Era giunto il momento di attivare l’aspirapolvere delle onde theta. L’ho accolto con benevolenza: quanto meno, ero riuscita a ritardarlo. Le ore di limbo che mi hanno accompagnata, cullandomi, dal sonno alla veglia insieme allo sfarfallio, sempre più diradato con l’avanzare delle ore, delle onde theta, sono state il momento più profondo della giornata. Poi, come il Sole che sorge, si sale, si sale in superficie, si sotterra la complessità fino a sera.