9 Muse di Milano: il mondo è di chi spinge
Un evento fatto da donne per le donne. Questo è il 9 Muse, nato da un’idea di Veronica Benini, su Instagram Spora. Una giornata a metà tra un Ted Talk e un talk show dove gli estrogeni escono dalle fottute pareti, e sono così tanti che pure gli uomini che ci hanno accompagnato controvoglia le fidanzate, piangono. Più o meno sei ore di interventi a palco da parte di 9 donne che “ce l’hanno fatta (nonostante tutto)”. O, sarebbe da dire, proprio Grazie a quel tutto.
Partiamo dall’inizio: Veronica è una donna di 33 anni che ha scoperto di non poter avere figli. Ha un lavoro a Parigi, è sposata, è un’architetta, va tutto bene, finché non scopre di non poter avere figli e il marito la lascia. E allora lei si ricomincia e molla tutto: il lavoro a tempo indeterminato, le garanzie e le sicurezze, se ne torna in Italia e va a vivere dentro un furgoncino. Se lo arreda pure. E inizia a fare i primi corsi, le prime consulenze di marketing, sognando un evento che possa accogliere tante donne, che possa diventare una rete di sicurezza capace di allargarsi sempre di più con il passare degli anni e trasformarsi in un luogo dove conoscersi e supportarsi. Così, avvia il primo 9 Muse. Poi un altro. Poi un altro.
Io l’ho scoperta pochi mesi fa su Instagram, la zia Spora, e non potendo andare a Milano di persona mi sono comprata il biglietto streaming del 9 Muse di quest’anno. E prima di mettere play, questo sabato, mi sono preparata a puntino: acqua, block notes, copertina di pail, divano e… un pacco di fazzoletti. Sì, perché quando sai che ci saranno 9 donne a raccontare le loro storie di successi e insuccessi, di maniche tirate su e di vite ricostruite, beh, se non ti aspetti un po’ di lacrime non hai prestato abbastanza attenzione.
Mettere in fila i pensieri per raccontare perché questo 9Muse dovrebbe essere visto da tutte, non è facile.
Cominciamo dalle lacrime. Dovrebbe essere visto perché fa piangere, e piangere fa bene. I racconti con cui piangiamo sono soprattutto quelli che parlano di noi, per noi. Anche se quella non è la tua vera storia, finisci comunque per uscire dal tuo corpo e guardarti da lontano, mentre le parole ti scavano dentro, trovano le tubature dell’acqua e te le svuotano. E intanto che smoccoli dentro a mezzo pacco di fazzoletti sul tuo divano in un uggioso sabato pomeriggio, ti senti sollevata, perché hai capito che è normale, non sei sola, le tue debolezze non sono solo tue, puoi accettarle e – soprattutto – sfruttarle.
Dovrebbe essere visto anche perché insegna una cosa importante: la normalità dell’esclusività. Una donna che desidera scrivere la propria storia deve uscire dai preconcetti che sottendono l’essere donna. E non è facile, perché non è una battaglia che combatte solo con se stessa, ma anche con quelli che hanno gli altri, tutti gli altri, su di lei. Io, che coi cambiamenti ho probabilmente solo appena iniziato, ho notato che i momenti più topici sono stati proprio quelli in cui ho mandato all’aria tutto quello che “ci si aspettava da me” e ho fatto solo quello che volevo io. Sono stata etichettata come un’egoista e una montata, io mi ci sono sentita tante volte, semplicemente perché ho smesso di essere sempre un po’ sottomessa, ho smesso di non dire quelle cose spiacevoli che mi passavano per la testa, ho smesso di capire quando nessuno capiva me. In poche parole: mi sono rotta il cazzo di compiacere la gente.
Questa cosa non l’ho interiorizzata fino a sabato quando sul palco del 9Muse è salita Michela Murgia. La storia inizia con una ricerca di Harvard, che ha cercato di capire come mai le donne che spesso eccellono in ogni classe a ogni livello educativo, quando si trovano nella vita vera non riescono a fare successo e a raggiungere posizioni di potere. La risposta l’hanno trovata nel modo in cui erano state educate nei primi 5 anni di vita. Nelle frasi “Sorridi, lo vedi che sei più bella quando sorridi?”. “Non fare i capricci che poi mamma si dispiace/papà si dispiace/Gesù, nonna, zio, Stocazzo, si dispiacciono tutti”. A 5 anni, non vuoi che mamma, papà, o Gesù, siano tristi a causa tua. Quindi cosa fai? La brava bambina. Sorridi anche quando sei arrabbiata o triste. Ti comporti a modino perché compiacere è l’unico modo per piacere.
Io mi sono rotta il cazzo di compiacere la gente
Poi arrivi nella vita, dopo vent’anni di compiacenza, dopo vent’anni in cui hai subito questo ricatto morale, in cui ti dicono che devi essere normale per non creare problemi inutili. Scopri invece che gran parte degli uomini intorno a te, se ne sbattono alla grande. Nessuno gli ha mai detto che sono più carini quando sorridono. Nessuno li ha mai castigati coi sentimenti. Quando fanno qualcosa di sbagliato, vengono messi in punizione, ma sotto sotto è impossibile non avvertire la soddisfazione del fatto che “il ragazzo ha carattere, farà strada nella vita”. Nessuno gli vorrà meno bene se fanno i cattivi bambini o se dimostrano di avere le palle. E questo li giustifica ad essere più o meno ciò che vogliono, ad andarsi a prendere quello che vogliono, perché è necessaria una certa indole per arrivare là in alto in mezzo alle stelle della leadership. Nessuno ci vuole una con una paresi facciale, lassù.
Io non ho vissuto in questo clima di terrore, ma questo demone del non deludere gli altri con i miei comportamenti l’ho comunque sempre avuto con me. Costantemente. L’ho combattuto in questi ultimi anni, grazie alla presenza al mio fianco di un uomo che sì, ha fatto sempre quello che voleva. E davanti ai miei attacchi di panico nel momento in cui non mi andava di fare qualcosa che invece andava proprio fatta, perché era giusto farla, o quando dovevo trovare il modo di dire quel qualcosa che era fuori luogo, qualcosa che avrebbe sovvertito un equilibrio, e occasionalmente sarebbe anche stato offensivo per qualcun’altro, mi ha fatto una semplice domanda: “ok, qual è la cosa peggiore che può succedere?”.
La prima volta che me l’ha chiesto, sono rimasta scioccata nel realizzare che in effetti, molto probabilmente, non sarebbe morto nessuno se facevo qualcosa di diverso da quello che era comunemente è accettabile. Il mondo non è crollato sotto ai miei piedi. Ho perso delle cose, certo, alcune le rimpiango anche, ma ogni voce alzata mi ha portato un po’ più vicino a me stessa e un po’ più lontano dall’essere “la bella versione di una cosa normale” (Murgia docet).
Tutte le donne dovrebbero vedere il 9 Muse perché l’ostacolo più grande al nostro iniziare a spingere, siamo proprio noi donne e quello zainetto di 20 tonnellate che ci portiamo sempre appresso. Un fardello pieno di stereotipi interiorizzati che queste storie ci aiutano a scoprire e buttare via, per alleggerire il passo mentre andiamo incontro alla migliore versione di noi stesse. Che non significa per forza essere ricche e di successo, ma autentiche e senza sovrastrutture che ci frenino.
Dopo il 9 Muse riprendi a camminare nella vita con una nuova consapevolezza. Chiedendoti qual è la cosa peggiore che può succedere se vai incontro al tuo destino senza guardare in faccia a nessuno. Facendoti solleticare dall’idea di poterti trasformare nella tua personale Musa ispiratrice, che sta spingendo il suo mondo con un sorriso mai indossato prima, quello di chi non deve convincere nessuno della propria felicità.