Vengo e ti porto via
Lo intravedo, zaino in spalla e via.
Con uno slancio inversamente proporzionale al suo fisico, Lorenzo fugge dall’aula.
Fa rumore, scuote l’aria carica di energia per il suo primo compito in classe alle medie. La prima volta in cui chiedo loro di parlarmi di sé, di mostrarsi, di non avere paura.
C’è sempre una prima volta, penso.
L’impatto è forte e ciascuno di loro reagisce in modo diverso.
Lorenzo scappa, fugge da un io allo specchio che non vuole vedere com’è e come vorrebbe essere.
Lascio tutto, mi muovo in fretta consapevole di lasciarne tanti per afferrarne uno, ma so che in quel momento lui vale tutti.
I corridoi della scuola appaiono immensi, lunghi e ampi, strade pronte a portarti via e non ad accoglierti. I piccioni sfiorano le nostre teste, le finestre di ferro battuto e i soffitti alti amplificano i respiri e il rumore delle sneakers bagnate.
Sono veloce, conosco gli spazi a memoria ed ho un vantaggio. Intravedo la sagoma incastrata tra due armadi, occhi bassi, viso rigato di lacrime, quelle di un bambino di 11 anni con un peso enorme sul cuore, immagino.
Provo a entrare nel suo spazio, in punta di piedi gli chiedo scusa se l’ho in qualche modo ferito, offeso, ma lui non parla, singhiozza e mi sorride.
Mi illudo che abbia perdonato la mia ignoranza, il mio non sapere nulla di lui e di essere entrata come un caterpillar attraverso una banale traccia, di un solito compito in classe.
Troviamo un punto di incontro, dal non voler scrivere al non voler parlare di lui, della sua vita e del suo mondo.
Il foglio bianco nell’ora successiva sembra divorarlo e di nuovo un pianto sussultorio cambia l’ordine dei miei piani.
Il suono della seconda campanella arriva come una sirena in mezzo alla tempesta, sono salvo, siamo salvi.
Non dico nulla, li lascio andare e guardo Lorenzo uscire per primo. Intravedo il foglio macchiato e umido: parole e lacrime, dieci righe piene di non detti.
Nel silenzio della settima ora leggo: “Eccomi: sono grasso, solo, buono e pieno di amore da dare, ma sono anche abbandonato, non voluto, non compreso. Come vorrei essere? Di certo non come sono. Io non mi piaccio, esisto anche se il padre che mi ha messo al mondo non mi ha voluto, ma io lo troverò e gli farò vedere cosa si è perso”.
Il sipario si è alzato su scene di vita quotidiana, tutto appare chiaro, il suo vivere in solitudine, senza amici, senza sport e con il cibo come unica consolazione. I suoi intervalli fatti di lunghi percorsi perimetrali lungo i muri dei corridoi, per non essere sfiorato, visto. Il suo corpo è di troppo rispetto al suo animo. Ha una mente brillante, Lorenzo, geniale nella sua sregolatezza. Non vuole studiare, non crede sia utile, ama passare ore in camera a mangiare junk food e guardare video di improbabili youtuber. Non ha consolazioni, non ha nessuno, ma in questa sua solitudine si autocompiace di essere più forte, di non avere bisogno di adulti che lo possano guidare. Quel padre che non lo ha voluto, ma che ha una sua vita e una sua famiglia, ha bisogno di essere punito.
Sono certa che Lollo si vendicherà della vita, questo l’ho capito e mi fa paura come potrà reagire quando l’ovattato e sicuro mondo delle scuole medie finirà, e non ci sarà un’insegnante rompiscatole che tutti i giorni lo invita a reagire, a trasformare la sua giusta rabbia in talento, in passione, in occasione di riscatto.
Tremo all’idea di cosa potrà fare quando scoprirà tutta la verità sul suo passato. Non avrà pietà per nessuno, Lollo, neppure per la madre che ha deciso di farlo vivere nonostante tutto. Il dolore non perdona, soprattutto se non è curato. Spero che qualcuno lo afferri e lo porti via, donandogli l’amore che gli è mancato.