Emigrante sarà lei
La domanda è: Chi può chiamare un altro “emigrante”? Risposta semplice, pure banale: chi c’era prima può chiamare così chi viene dopo. Giusto, non fa una piega. Allora c’è una domanda diversa. Il prima, quanto prima deve essere, oppure si intende “prima” con il significato “da sempre”? Prendiamo gli indiani d’America. Nulla li irrita di più che essere definiti tali, o magari Pellerossa. Pretendono giustamente essere chiamati “nativi americani”. Accettano la denominazione che arriva dal fiorentino Vespucci, ma premettono nativi, come dire che “noi eravamo qui da sempre”. Un argomento facile da capire. Con un vizio logico e antropologico. Le principali teorie accreditate negli ultimi decenni vedono queste popolazioni discendere da avventurosi che (forse 40 mila anni fa) si mossero lungo lo stretto di Bering – allora asciutto – provenendo dall’Asia. Per i Mormoni le tribù americane sarebbero discendenti di un gruppo di ebrei. Comunque sono tutti migranti; solo dopo nativi.
Anche il povero Neanderthal è stato fagocitato dal Sapiens che, nonostante la definizione, siamo noi.
E uno può dire: va bene, che significa questo? Che siamo tutti uguali e che devo giustificare tutto dell’idea di migrante e li devo accogliere a occhi chiusi? Diciamo che ha un solo scopo momentaneo: poter rispondere come faceva Einstein quando gli chiedevano di che razza fosse. E lui rispondeva: umana.
Lo scopo , come dicevo, è momentaneo, perché poi, messa da parte la componente logico storica antropologica, viene la parte più complessa, reale e viscerale, logica e irrazionale, dove le seconde, viscerale e irrazionale, dominano la psiche a nostra stessa insaputa, come un istinto di sopravvivenza. Nel quale l’ignoto ci scruta da un angolo buio, facendoci temere per la nostra tradizione e quindi per il nostro futuro, come se il nostro ieri non avesse sempre avuto un domani ben diverso dalle attese, e comunque molto mutato dall’altroieri. E noi tutti ci abbarbichiamo a mondi antichi mai esistiti, cresciuti e glorificati nella nostra mente, in un eterno deterioramento dell’oggi rispetto al mitico tempo antico.
L’immigrato. La summa perfetta di ogni timore, la rappresentazione precisa della diversità sgradita
Detto questo, è evidente che nelle contese del momento tutti quei ragionamenti non solo non valgono, ma sono pure considerati falsi, una sorta di menzogna della storia e dell’antropologia.
L’Italia è un paese quasi simbolo di queste identità tradite
Ma non tutti sono identici. Così il tema si divide tra tifoserie dove la ragione cede il passo alla passione, il bene contro il male, il vero contro il falso, senza comprendere che comunque ciò non è mai vero, da nessuna parte. Ma non si tratta di cercare mediazioni o compromessi, almeno non è il primo obiettivo. Il primo sforzo è comprendere, che non vuol dire giustificare comunque sia, o assecondare. Vuol dire capire cosa muove i popoli, cosa c’è nell’animo del singolo e in quello collettivo.
L’illuminismo non è mai stato un movimento di massa, e la ragione mai la virtù principe. Infatti la invochiamo sempre, come accade con ciò che ci manca. Ora viviamo questa stagione, di poco pensiero e grandi paure. Possiamo approvare leggi, fare accordi internazionali, costruire programmi di integrazioni. Ma serve tempo, soprattutto. Tanto tempo. L’America ce lo ha insegnato bene. E noi siamo figli dell’Occidente. Abbiamo per ora le grandi guerre, ma non le grandi sofferenze. Questo è il mondo che ci tocca oggi.