Un giorno di pioggia
Non piove mai a Los Angeles, e le volte che qualche goccia d’acqua osa cadere dal cielo, la gente impazzisce. Beviamo un caffè in un giorno di pioggia, e sbam. Disagio cosmico. Non ho mai capito, e credo che non lo capirò mai, perché a molte persone parta l’embolo, per usare un francesismo, e apparentemente scompare anche la loro capacità di funzionare correttamente all’interno di un contesto sociale. E sti cazzi. Ecco, questo invece è italiano puro, pour parler.
«Ciao, entra pure, vuoi un caffè? Prego accomodati.»
«Ciao! Sono solo passato a darti un saluto. Con la pioggia ho sempre pochi clienti e finisco prima le lezioni. Come va con i tuoi mille lavori? Tieni duro?»
«Eh, vorrei dirti che va tutto bene, ma fatalità, pioggia o no, c’è sempre qualcosa che non va. Pensa che addirittura, per distinguermi dal coro e non essere tra i miliardi di persone che si lamentano del lunedì mattina, ho deciso di non prendere mai impegni quel giorno e affrontare ogni nuova settimana con serenità, e come dicono qua, di combatterli tutti con l’amore “fight them with love”. Invece? Come un orologio svizzero, ogni lunedì mi arriva un’email dal mio supervisore che ha da lamentarsi di qualcosa. Che ho fatto. O che non ho fatto. Monday, e lo buttiamo via così. La sua frustrazione diventa la mia frustrazione, da cosa nasce cosa, e non ne posso più…»
«Ma scusa, lamentarsi? Con te? Per cosa?»
«Bella domanda! Una mia amica con cui ho parlato l’altra mattina dice che secondo lei stanno facendo di tutto per farmi cedere. Per far sì che sia io ad averne le scatole piene e dare le dimissioni. Suona tutto molto “male professionale del millennio”, mobbing, e quant’altro, e invece guarda, quasi quasi me faccio na’ risata e baciamo le mani…»
«Parla direttamente con il capo dell’azienda no? Salta lo step del supervisor e parlane al boss!»
«Eh, bello mio! Tu credi sia semplice, invece non è così! Non hai idea di quanto mi faccia scompisciare dalle risate tutta questa storia della gerarchia. Tu, comune mortale, plebeo, non puoi parlare direttamente con il capo, patrizio! Neanche fossi ritornata a quando lavoravo in ambiente militare. Dove, nonostante tutto, continuavo ad essere me stessa e immancabilmente mi mandavano al rapporto. Ti prego, non me fa’ ricorda’! Non si può. Prima ti mandano faccine, battutine, messaggi inutili per passare il tempo; poi, quando arrivano i momenti seri, ti mandano email che sembrano più delle lettere minatorie, mettendo in copia capo, controcapo e presidente del consiglio, tu non sai mai se in copia carbone ci sia pure cristo dio in persona, e ti ritrovi con una quantità infinita di merda lanciata addosso che non capisci da che parte ti stia arrivando. Destra, sinistra, sopra, sotto, tutto intorno. A mo’ di centrifuga. Un disastro. E soprattutto ti chiedi se stamattina qualcuno si sia alzato dalla parte sbagliata del letto. Tipo, così. I toni si inaspriscono, tu vorresti lanciare per aria tutto in stile “fuck this shit” e invece niente, aspetti l’altra spalata, sperando che sia l’ultima, ma ormai sono le 7 di sera e il tuo tranquillo lunedì si è suicidato.»
«Eh, ma non sarà questo tuo fare un po’ arrogante e forse, dico forse, presuntuoso che alla fine ti porta ad avere queste simpaticissime rotture de cojoni, come un gatto che ti ci si appende con gli artigli appena affilati?»
«Che, ti ci metti pure tu scusa? Ma insomma. Ragioniamo: tu cerchi un lavoro e lo trovi dopo mesi, che dico? Anni, di sbattimenti. Poi, quando ti assumono, ti mettono alla prova. Bene. Fai il tuo dovere, tutto a posto, tutto carino, tutto bello. Al che, arriva un momento in cui ti dicono cosa e come devi farlo. Tu dici: “scusatemi? sì, grazie delle dritte, ma so fare il mio lavoro.” Risposta: “Non fare l’arrogante. Ma se ti diciamo di fare una cosa, converrai con noi che devi farla. Punto.” “Zi Badrone. Certo, convengo, dato che ho fatto sempre tutto. E aggiungerei bene, e sottolineerei sempre in tempo… ma di cosa stiamo parlando?” E da lì sono cazzi. Boom. ‘na bomba.
Ma facciamo due calcoli, no? Dico. L’arroganza non sta nell’assumere qualcuno di qualificato e poi trattarlo come se non lo fosse? E comunque sia, non sarebbero sempre loro, ai piani alti, in torto? In quanto, se assumono qualcuno che ha titoli ed esperienza è perché ne hanno bisogno e dovrebbero fidarsi di chi hanno assunto. No? Se scegli qualcuno che faccia un lavoro che tu non sai fare, esattamente quale metro di valutazione hai per dire se ciò che sta facendo è giusto o meno? Ma soprattutto, se hai scelto una persona tra tante altre, e poi non ti piace come lavora, non è sempre un problema tuo che forse hai cannato a valuta’ sto tipo? Cioè dico… non mi pare di parlare mandarino. Sapresti farlo meglio tu il lavoro? E allora per che cazzo assumi qualcun altro da sfanculizzare a random? Per pigrizia? O arroganza! Allora vedi che sei tu lo stronzo?»
«Non hai tutti i torti, ma sai che purtroppo, il mondo è bello perché è vario! E mi sa che la storia è più complicata di così.»
«Senti, non ti offendere, ma ho appena sperato che quel sorso di caffè ti vada di traverso, così… in risposta alla tua frase fatta, di convenienza. Il mondo è bello perché è vario, tua sorella. Che poi scusa, ma da che parte stai?»
«Eh?»
«Niente lascia stare, ogni scarrafone è bello a mamma soja.»
«Scusa non ti seguo.»
«Ma va? Non l’avevo capito…»
«Guarda, devo scappare perché, vista la pioggia, per tornare dall’altra parte della città ci metterò una vita e mezza!»
«Tranquillo. Chi va piano, va sano e va lontano!»
Momento di imbarazzo. Sorriso di circostanza. Ciao, grazie e alla prossima. Che non ci sarà, perché qui le persone vanno e vengono come mercenari. A proposito, vi ho raccontato di quella volta che… ?