2 – Cioccolata calda
Io invece ti amo già! E infatti non sei sposata!, risposi mentre già l’abbracciavo, incurante della pioggia che la inzuppava.
Come stai?, Come stai tu, rispose con un largo sorriso, e con la tempestività malcelata di chi non vuol rispondere alla prima domanda. Sto bene, Io pure, Sicura? Sì, bene davvero. Davvero, asserì titubante.
Non si può mentire a un amico. Ancora meno a un amico col quale non hai mai scopato. Cioè, insomma, un amico vero. Non di quelli collocati in friendzone, non di quelli che aspettano solo l’occasione giusta. Di quelli invece che non si sono mai degnati d’uno sguardo che travalicasse l’amicizia in una direzione meno importante e gloriosa dell’amicizia stessa. Siamo nati lo stesso giorno, alla stessa ora. In due città diverse, e lo abbiamo scoperto quando eravamo amici già da qualche anno.
Però togliamoci di sotto la pioggia! Cioccolata calda?
Incontrarla per me è sempre un tuffo nel mare
Non le resistevo, non le ho resistito mai. Incontrarla per me è sempre un tuffo nel mare, mi lascio trasportare dalla sua corrente impetuosa, mi perdo nelle onde delle sue emozioni. Come quando a mare fai il morto, chiudi gli occhi, anzi li socchiudi e lasci che penetrino alcuni raggi di luce tra le ciglia, mentre senti il rivolo d’acqua a fil di pelle, sul collo, e il tepore del sole ti riscalda il viso. Una sensazione da grembo materno, non mi oppongo; d’altronde, come potrei.
Non la vedevo da sei anni, ma sembrano sei minuti, mentre passiamo in rassegna tutte le sue vittorie e delusioni dell’ultimo lustro, e tutti gli ex degli ultimi sei mesi. Non è una ragazza facile per gli altri, ma è facile a se stessa, e vive il sesso così come vive la vita. Parlo poco di me, ma lei sa già tutto. Non che abbia una vita tumultuosa, ma talvolta m’accorgo che lei già sa, anche senza doverne parlare.
È morta tua madre? Sì, sai che era malata. Ma dimmi di te. Che succede?
Niente, niente davvero, ma perché ti sei fissato? Ecco, questo è per te, distoglie lo sguardo mentre scava nella sua borsa enorme, ovvero fa finta di scavare, quel pacchetto già l’aveva in mano. Lo posa sul tavolo facendolo atterrare lieve con entrambe le mani, sempre così curate, le unghie, meno del solito.
Un regalo per me, che arriva proprio quando mi rattristavo del fatto di riceverne pochi. Confezionato con cura, delle dimensioni di un libro, ma un libro non è, e si nota dal fatto che i bordi sono da scatola. Osservo la carta, è la medesima del libro del barbone, un fatto peculiare, è una carta regalo rara a vedersi. Si dice che siano sincronicità, che nulla, nemmeno questo, avvenga per caso, e che dietro tutto, dietro anche questo, si celi un significato. Basta saperlo leggere.
Ma negli occhi di Margherita c’era scritto altro.
(mm)
Il pacchetto regalo finisce al centro del tavolino per far posto alle due tazze di cioccolata calda.
Osservare le mani di una persona equivale ad osservare il suo passato; le mani ci parlano della sua età, del suo benessere, del suo stile di vita. Pelle rovinata dal sole, indurita dalla fatica, profumata dalle creme scandinave, macchiata dagli agenti chimici o deformata dagli utensili. Le mani mi hanno sempre affascinato. E in effetti, anche se si somigliano tutte e non sono lo specchio dell’anima, le mani di quelli a cui ho voluto bene le riconoscerei fra mille altre.
Le mani di Margherita sono rimaste le stesse in questi sei anni, le osservo acciambellarsi intorno alla tazza per prendere calore. Loro non sono cambiate, ma il suo sguardo sì. Mi vengono i brividi lungo la schiena nel cercarla e nel non trovarla. D’un tratto mi sento inquieto e vorrei scappar via. Non era questo il tuffo nel mare che mi aspettavo oggi. Lei mi racconta del suo lavoro e io la guardo dritto negli occhi, ma non la trovo; c’è un’assenza strillante in quel verde pallido. Dove sei andata a finire, Margherita? Sei nascosta o sei scappata via dal tuo stesso corpo? Ti prego, dimmi che almeno sei esistita e non eri solo una mia fantasia da trentenne.
D’un tratto mi sento inquieto e vorrei scappar via. Non era questo il tuffo nel mare che mi aspettavo oggi.
Il verde di quella luce, nel mio personalissimo catalogo mentale Pantone, è associato al suo nome. Non mi va di strappare quella pagina. Ho fatto passare troppo tempo; forse è colpa mia. Avrei dovuto filmarla in una di quelle serate d’estate in terrazza fatte di amici, insalate di pomodori, storie di viaggi, buona musica, macedonie e vino bianco. Il suo sguardo si faceva divertito e intenso dopo aver fatto una battuta, come se sapesse prendere giocosamente in giro due volte: con le parole e con gli occhi. Riusciva ad essere tremendamente seria nel non prendersi su serio, e io adoravo quando levava gli occhi al cielo e rideva da sola, scuotendo i lunghi capelli.
Avrei dovuto scattarle una bella foto in uno di quei fine settimana passati in montagna, di mattina, con quella bella luce che illumina gli animi. Il colore delle sue iridi era più vigoroso di quello del muschio che calpestavamo nel bosco durante i picnic e le lunghe passeggiate. Passare del tempo fuori città la rinvigoriva e diventava ancora più bella. Eppure, quel verde non è più lo stesso. È effettivamente possibile che il colore degli occhi di una persona cambi nel corso della sua vita?
Margherita continua a parlarmi, il discorso è vuoto e pieno di informazioni previste, ma non importanti. L’unica cosa che avrei davvero voglia di sapere è: che ti è successo? Perché non sei più tu? Che cos’è che ti ha spezzato?
Mi ascolti?
L’ascolto, certo che l’ascolto, ma non la sento. Quello che invece sento fin troppo, è la pesantezza di quei sei anni che grava sulle nostre teste, sul mio petto, sul tavolino del bar e sulle tazze fumanti. E ho freddo, tremo di quel falso freddo che odora di paura e di perdita irrimediabile.
(cc)
La prima puntata, se te la sei persa, puoi trovarla qui.
La terza puntata, invece, è qui.