Giulio (perso in un supermarket)
Si mise una mano nella tasca posteriore dei pantaloni. Vuota. Una pioggia fine si disperdeva nell’aria e il pavimento antistante il supermarket, di mattonelle quadrate bianche e grigie, rifletteva la luce rossa dell’insegna a neon. Giulio tentò di avanzare scivolando sulle mattonelle, ma l’attrito bloccò il piede destro e per poco il corpo non si sbilanciò in avanti. Giulio ne ebbe a male. Come se il pavimento gli avesse fatto un dispetto. Si fermò un attimo. Le gocce imperlavano i riccioli neri e si depositavano sul naso. Passando la lingua sulle labbra le poteva assaporare. Sotto il porticato una bambina con un giubbotto giallo saltellava borbottando qualcosa. Una canzone, pensò Giulio. La madre era dietro di lei. Ascoltava messaggi vocali, fumava e aveva un foulard bianco. Per il resto tutto nero, anche i capelli. Un paio di anni più di Giulio. Quando le ebbe vicine si accorse che la bambina non cantava, leggeva. Leggeva tutto quello che gli capitava sotto gli occhi. Come un neopatentato che trova piacere nel fare il giro dell’isolato dieci volte prima di rientrare a casa per cena.
“Non capisco questa parola, mamma.” La madre si avvicinò.
“Questa!” esclamò la bambina indicando una scritta su una colonna.
La madre gettò la sigaretta, prese la bambina per un braccio e la spinse via. “Non devi leggere tutto” disse.
“Perché no, mamma? La maestra dice sempre di esercitarci a leggere tutto”
“Tutto no. Ci sono cose che non vanno lette e basta. Mascalzoni”
La madre aveva l’accento napoletano e tirava forte. La sigaretta si era spenta in una pozzanghera. Fumata a metà.
Giulio si avvicinò alla colonna infame. Lesse. Rise. Poi vide che la bambina, ancora spinta dalla madre, guardava dietro di sé. Guardava lui. Con invidia per quel frutto proibito che a lei, invece, non era stato donato. Smise di ridere. Il biglietto della spesa si materializzò davanti ai suoi occhi. Sul tavolo della cucina, dove lo aveva dimenticato. Riconosceva la calligrafia della compagna. Non le parole. Le parole non le ricordava. Comprare cosa?
Ne jetez aucun objet par la fenêtre. Giulio credeva che se avesse visto il prodotto, avrebbe ricordato. Ma gli scaffali attiravano la sua attenzione come una televendita di poltrone reclinabili. Keine gegenstaende aus den fenstern. Quella bambina, pensò, aveva conosciuto il primo paradosso della sua vita e manco lo sapeva. Bisogna leggere tutto, dice la maestra. Tutto sì, ma se leggi alcune cose poi la mamma s’incazza. E allora non ci sono regole per tutte le stagioni. Non gettare alcun oggetto dal finestrino. Ecco, il primo livello del videogame è superato, pensò Giulio mentre i rotoloni asciugatutto della corsia 3 si srotolavano dinnanzi ai suoi occhi. Il secondo, anzi. Il primo è camminare. Il terzo, anzi. Il secondo è pulirsi il culo da soli. Erano sul treno, di ritorno da non sapeva dove. Però tornavano, insomma. Giulio e sua mamma. Giulio leggeva la targhetta di divieto. Quelle parole straniere erano più interessanti del susseguirsi di campi arati. Poi la mamma aveva gettato qualcosa dal finestrino. Qualcosa di piccolo. Cosa di preciso fosse, ora davanti ai detersivi, non ricordava.
“Mamma, non si può.”
“Che?”
“Gettare dal finestrino. Lo dicono anche gli spagnoli.”
“Sono francesi. E tedeschi. Lasciali perdere francesi e tedeschi. C’hanno sempre da rompere i coglioni, quelli.”
“Ma lo dicono anche gli italiani.”
“E lascia perdere anche loro. Giulio, non è un oggetto. Non ti interessare che tanto non capisci. Lascia perdere e leggi dell’altro.”
Paradossi. Il terzo livello. Cosa doveva comprare, insomma?
Nella corsia 6 Giulio passò vicino a un paio di bambini intenti a rubare un pezzo di pongo da un barattolo verde. Uno rubava, l’altro controllava la madre che a sua volta controllava facebook sul telefono. I capelli tinti di biondo, la madre. Una fantasia improbabile nelle unghie finte. Nessun anello. Cover del telefono impresentabile. Alcuni bambini non hanno facce da bambini. Hanno già facce da adulti, pensò. Un suo amico aveva avuto una figlia qualche anno prima. Il nome lo aveva scelto la madre, i connotati il padre. Stessa espressione, stesso accenno di borse sotto gli occhi. E altro, anche, però ora non ricordava. Un visino da adulta, formato. Una bella bambina quella del suo amico. I bambini con le facce da adulti, pensò, risultano probabilmente più attraenti ai coetanei. Foto di quando era bambino lui non ne conservava. La sua era stata una faccia da bambino, appunto. Niente di interessante. La bambina del pongo, quella che faceva la guardia, vide che Giulio la stava guardando. Si spaventò. Lui provò a fare un cenno per dire di non preoccuparsi, che non era mica una spia lui. Ma lei, con la sua faccina da adulta sgamata, non si fidò. Una gomitata all’amico mano lesta, che invece aveva un visino addormentato e moccoloso. Un paio di secondi e tutti in piedi. Giulio se ne rattristò. Passò in rassegna la corsia 5. Cosa ci fosse sul biglietto della spesa, però, non gli sovvenne.
Alla cassa portò una confezione di birra tedesca e un Topolino. Si sarebbe aspettato che un tale connubio avrebbe potuto incuriosire la cassiera. Stanca, annoiata e sposata. Nessuna reazione. Come se le avesse buttato sul nastro sedano, tonno e pasta integrale. Pose i prodotti nel sacchetto di plastica. Un addetto alla sicurezza lo guardò e sorrise. Aveva la sua età e, pensò, un bambino a cui regalare Topolino. E una vescica da riempire di birra tedesca, pure. Per questo sorrideva. Capiva. Un cazzo hai capito, pensò Giulio. Insomma, non c’era niente per cui sorridere. Passò in rivista gli ultimi eventi: il biglietto dimenticato, il paradosso della bambina, l’incomprensione con i ladri di pongo, l’indifferenza della cassiera, il cameratismo a senso unico della guardia. Quando pioveva bastava poco per abbattere il suo precario umore.
Allontanò un giovane promoter dell’Unicef, sganciò una moneta a un congolese di età indefinibile, diede un’occhiata alla colonna infame e raggiunse l’auto. I tergicristalli entrarono in azione. Non pioveva abbastanza per evitare lo sgradevole attrito sul parabrezza. Si grattò un occhio e accese i fanali. Davanti a lui comparve un cartellone pubblicitario. La scritta, in alto, rimaneva al riparo della luce dei fanali. Ma l’immagine del prodotto, invece, la vide eccome.
La mozzarella, cazzo.