L’Isola degli invertiti, al Tram l’olocausto dimenticato degli omosessuali
«Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare»
Martin Niemöller (1892-1984)
Ci sono abissi nella nostra storia che non vorremmo mai scoperchiare. Che per buon gusto, amor patrio, opportunità, o giusto solo per comune senso del pudore dovremmo smettere di ricordare. Cose sconvenienti, cui non dare troppo peso. Chissà in fondo se sono mai accadute davvero. Forse sono solo dicerie, messe in giro da malelingue, o dai comunisti: si sa che i comunisti sono imbattibili, quando si tratta di divulgare falsità.
Mi arrestarono un giorno per le donne ed il vino
Non avevano leggi per punire un blasfemo
Non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte
Mi cercarono l’anima a forza di botte
Per esempio quella storia degli omosessuali, sì proprio quelli, i gay, i finocchi, gli invertiti. I ricchioni, insomma. Quella storia che nel ventennio fascista li perseguitassero, perché quell’orientamento sessuale faceva proprio a pugni con l’idea del maschio virile e fascista, con l’ideale della pura razza italica e ariana tanto in voga a quel tempo. Il fascista reso perfetto da libro e moschetto; non si poteva certo permettere che gli si desse del frocio.
in quegli anni … si temeva l’amico quanto il nemico
Dicono che in quegli anni vivere all’insegna del sospetto fosse la normalità. Anche i muri avevano le orecchie, e si temeva l’amico quanto il nemico. Pare che bastasse una battuta, un cenno di dissenso verso il Duce fatto in ufficio, per essere affiancati lungo la via dalla polizia politica, e fare ritorno a casa con la vergogna che solo l’olio di ricino ti può procurare, o non farvi ritorno affatto.
Pare che per essere allontanati non fosse davvero necessario trasgredire la legge. Si poteva ben essere onesti cittadini, buoni lavoratori, ottimi padri e mariti, e tuttavia non essere graditi. Per esempio se sei ricchione, se desti pubblico scandalo, se giungono voci di tuoi comportamenti amorali, o anche soltanto sopra le righe.
Possono bastare pochi minuti in caserma, una firma in calce a un documento, e ti ritrovi in viaggio.
In confino.
Con encomiabile spirito di ricerca storica Antonio Mocciola ricostruisce il confino degli omosessuali durante il regime fascista. Un tema forte e dimenticato, una pagina di storia che si tarda oggi a scoperchiare, e che la regia di Marco Prato ha avuto il merito di porre in scena con una scrittura limpida e lineare, che non si perde in amenità per puntare dritto al sodo, con una concretezza di rara fattura.
una scrittura limpida e lineare, che non si perde in amenità per puntare dritto al sodo
Oltre trecento cittadini, di vera o presunta tendenza omosessuale, sono stati esiliati coattamente sull’Isola di San Domino, nelle Tremiti, negli anni che vedevano impegnata l’Italia sui campi di battaglia della seconda guerra mondiale. A dare voce a questo olocausto dimenticato al Teatro Tram, Giovanni Esposito, Bruno Petrosino e Andrea Russo, che con una recitazione senza fronzoli restituiscono la vicenda alla memoria collettiva.
Abbiamo visto:
L’Isola degli invertiti
di Antonio Mocciola per la regia di Marco Prato
Con Giovanni Esposito, Bruno Petrosino e Andrea Russo
In replica fino al 17 novembre 2019. Info qui.