Marco Mengoni parla d’amore (e non si vergogna)
Per fortuna c’è ancora chi parla d’amore e non se ne vergogna: Marco Mengoni per esempio.
Sono stata al suo concerto Atlantic Tour allo Zoppas Arena di Conegliano Veneto, e posso dire che è stato pazzesco. Non perché sia stato ricco di effetti speciali, sebbene non ne siano mancati. Non perché le canzoni siano stratosferiche, sebbene assai godibili, trascinanti o emozionanti a seconda di ritmi e parole. Non perché lui sia un divo, sebbene con quel viso angelico e all’occorrenza sensuale non gli manchi niente per esserlo.
Il concerto è stato pazzesco per l’energia trasmessa, per la musica che tutti unisce, per il calore umano, per l’affetto che i mengoniani hanno verso questo ragazzo comparso dal nulla dieci anni fa e distintosi dalla massa per l’incredibile voce. Ci vuole personalità e talento, oltre che a un messaggio da diffondere, per farsi amare così.
Si inizia subito alla grande, nell’arena sold out, con l’energia esplosiva di Muhammad Ali. Ma prima, da dietro a un telone bianco, compaiono le silhouette dei coristi, due donne e un uomo, che con una introduzione tutta loro fanno capire subito che tutte le voci in ballo saranno eccezionali. E poi dal niente appare Marco, saltando su come una molla, forse da una botola, vestito di bianco, grintoso proprio come un pugile, che ci sfida a essere tutti Muhammad Ali, a incassare cioè la vita sul ring, dove si vince o si perde in un attimo. Lui, così esile, si muove proprio come un pugile ballerino, con eleganza e forza e la voce non ha peccati, tutt’altro, è proprio quella che ascoltiamo nel disco.
Subito dopo un altro brano pieno di forza, che si intitola Voglio, che sottolinea il diritto a voler compiere in piena libertà gesti assurdi e incomprensibili, tipo dare ordini all’imperatore o prendersi tutte le colpe e… ballare nudo. Cosa questa che le signore presenti, compresa la sottoscritta, non avrebbero per niente disprezzato. Anzi.
A seguire gli altri brani, dai più conosciuti a quelli più nuovi compresi nell’album Atlantico. Si va da pezzi romantici (Ti voglio bene veramente, Guerriero, Sai che) a quelli ricchi di allegre atmosfere latine e testi malinconici (Amalia fado, La casa azul dedicato a Frida Khalo). Nel mezzo, l’occasione di conoscere Mengoni uomo, oltre che artista. Lo scopriamo un po’ diverso da come appare in TV, dove sembra sempre timido e fuori posto. In realtà è scherzoso, interloquisce con il pubblico, parla, o ci prova, in dialetto veneto. E dice la sua. Che è la voglia di parlar d’amore, di cui non si vergogna, a differenza di quanto usi negli ultimi tempi, in cui sembra prevalere la tendenza a diffondere odio ovunque, sui social e nei media.
la voglia di parlar d’amore, di cui non si vergogna
E Marco è anche una forte coscienza ecologista, l’invito a salvaguardare l’ambiente, mentre sullo schermo corrono immagini e parole a ricordarci ciò che stiamo facendo al nostro pianeta e ciò che dovremmo invece ricordarci: la gentilezza, l’attenzione agli altri. L’essenziale. Come la canzone, sì, che Marco accenna al pianoforte, coinvolgendo i mengoniani, che cantano in coro e lui ci scherza su. Ma il messaggio è chiaro: liberarci del superfluo, tenerci l’amore, il necessario.
Pure il concerto è in linea. Le scenografie infatti sono essenziali, appunto, però creano spettacolo e coinvolgono. Il telone bianco alle spalle fa da maxi schermo, in contemporanea scorrono immagini adeguate ai testi e ai messaggi (ci sono anche filmati e foto di un bambino che è da giurarci sia Marco da piccolo), alternate alle riprese del bel viso del cantante mentre canta in diretta e al chiaroscuro di maestranze, orchestra e coristi. Semplice ed efficace. Essenziale.
E poi c’è l’invito ad abbracciarsi con il vicino di posto. Non tanto per dire, ma per farlo davvero, subito. E tutto il pubblico davvero si abbraccia, ed è un momento di emozione pura.
E ancora via con la musica, trascinante nei ritmi di suggestione latino americana che fa ballare tutti, dalle persone in piedi, a quelle sedute che si alzano, ai disabili in carrozzina che si muovono come possono. Quelli che possono. C’è una signora in carrozzina con la Sla, in grado di comunicare solo con un computer, lo sguardo che compone la parole sullo schermo. Mi è vicina, non ho potuto fare a meno di sbirciare mentre racconta che segue Mengoni dal 2009. Cioè dall’esordio. Quando forse anche lei stava meglio. Eppure nonostante la grave malattia non ha voluto mancare a questo concerto, e sono convinta che, nonostante l’immobilità, dentro di lei la sua anima e il suo corpo devastato ballassero insieme a Marco, lì sul palco. Potenza della musica e di una passione.
Marco non si è risparmiato, ha ballato, cantato raggiungendo tonalità stratosferiche, ha cambiato abito tre volte, ha dialogato con noi. Artista schivo ma coinvolgente. Un ragazzo semplice, della sua epoca, forse con ideali un po’ retrò, che racconta come, dopo una visita di stampo ecologista a una scuola, invitato dal sindaco, il messaggio che voleva lanciare (diminuire le plastiche con piccoli gesti) ha ricevuto meno commenti del suo nuovo taglio di capelli! Non ci siamo: torniamo a noi, non all’apparenza, ma ai contenuti. All’essenziale. E torniamo a parlare d’amore.
E torniamo a parlare d’amore.
Caro Marco, anche io ti seguo dagli inizi, le tue canzoni mi hanno accompagnato in un periodo per me particolare, difficile e di rinascita. Se hai bisogno di qualcuno con cui parlare d’amore, be’… sono qua.
(Foto di copertina dal web)