1 – Talento e sorpresa
Lo vuole incartato?
La ragazza mi guarda con aria speranzosa e con la mano protesa anticipa il sì, un sì che forse non sarebbe arrivato se non l’avesse estorto con quel gesto, che in pratica m’ha strappato il libro di mano. Sapeva di buono quel libro; io i libri li annuso sempre, prima di comperarli. Hanno un odore peculiare e di solito se sanno di buono sono buoni anche da leggere. C’è l’odore chimico e pungente delle pagine bianche e lucide dei saggi, quello muschiato e rotondo della carta riciclata da letteratura economica, quello un po’ ammuffito e stantio delle pagine sottili dei grandi mattoni da ombrellone.
La ragazza lo incarta senza troppa cura, i bordini sul lato corto lasciano intravedere il bianco della carta regalo e dal lato opposto il nastro adesivo è così corto che a malapena trattiene insieme i due lembi. Allungo qualche spicciolo nel grande contenitore della raccolta di beneficenza, un mezzo di quelli elettrici che puliscono le stazioni quasi m’investe, ritiro il libro, lo metto sotto braccio e riprendo il mio cammino.
In realtà il libro era per me, ma per qualche strano motivo non avevo saputo resistere alla richiesta d’incartarlo. E ora era diventato un regalo. Era un regalo evidentemente, anche a mia insaputa, per chiara predestinazione. Era nato come regalo sin da quando era stato stampato. Ci sono dei predestinati, rifletto. Gente che sembra essere nata col pallone tra i piedi, con la chitarra appesa, con la penna in mano. Gente che arriva e sa fare le cose, che sovverte le classi e non ha bisogno di lezioni, perché le cose sa farle e basta, gente che è nata dieci anni in anticipo. È una cosa che ha molto a che fare col talento, mi dico. Come questo libro: doveva aver talento sin dal principio, talento da vendere per essere un regalo.
Solo che ora si poneva il grande problema del destinatario di questo regalo. Nessun compleanno in vista. Finirò per farmelo da solo, mi dicevo mentre una goccia di pioggia bagnava la mano che aveva in consegna il libro. Sul dorso della mano, una unica goccia pesante, la prima della pioggia che verrà, caduta solo sulla mano senza bagnarne la carta. Rientro sotto la pensilina della stazione.
Una puzza di piscio, un uomo sotto coperte improvvisate. Amico, sai leggere? Sì. Tieni, ti faccio un regalo. Mi guarda perplesso. Vado via senza voltarmi. Un regalo di cultura, non se l’aspettava. Fatto così, per caso, senza volerlo. A scatola chiusa.
(mm)
Nei giorni seguenti mi venne la curiosità di leggere quel libro, ma l’istinto che me lo fece prendere e annusare era stato più veloce della memoria e il suo titolo e l’autore mi erano sfuggiti dalla mente. Passai sotto la pensilina della stazione altre tre volte solo per incontrare di nuovo quel senzatetto; naturalmente non lo trovai.
Sapete quella storia del si chiude una porta, si apre un portone? Tutte balle.
Era un periodo, quello, che con il tempismo non avevo nulla a che spartire. Sapete quella storia del si chiude una porta, si apre un portone? Tutte balle. Si apre un’altra porta, semmai, e quando lo vuole lei. Io sono uno più sull’ogni lasciata è persa, cose così. Chissà, poi, quale potrebbe essere la fine di quel libro? Lasciato per terra, raccolto dai netturbini? Letto da quel tizio che non conoscevo e che non avrei più rivisto? O magari l’avrei rivisto, un giorno, in tv: Se oggi sono diventato Presidente del Consiglio è perché anni fa un ragazzotto mi ha donato un libro che parlava di… non lo ricordo. Ma quella è stata la cosa che più mi ha cambiato la vita.
Io era da tanto che non ricevevo un dono. Che non mi facevano una sorpresa. La sensazione di stupore per una cosa fatta a te, per te da altri, non la riuscivo ad assaporare da troppo, nonostante sia uno che si fa in quattro per le persone. Sono quello che, nelle compagnie, organizza la festa di nascosto, cerca di creare dei momenti conviviali e quindi vai di cene, di vino, di fritture e a parlare fino a tarda notte. Forse era questo che sbagliavo? Forse chi mi sta intorno si aspettava sempre quel qualcosa in più da me? Non lo so e non l’avrei mai saputo, o almeno era questo quello che pensavo.
Mesi dopo tornai in quella libreria. Avevo un appuntamento con una mia amica che non vedevo da tanto, appena lì fuori, poi mi arriva il messaggio: Ehi, arrivo in ritardo… un quarto d’ora e ci sono, e allora ci sono entrato. Cercai fuori con lo sguardo la ragazza che aveva impacchettato il libro, non la trovai. Mi persi tra lo scaffale dei gialli e quello della psicologia. Niente attirò la mia attenzione, uscii. La mia amica non era ancora arrivata. Mi sedetti su una panchina, iniziava a piovere. Lei arrivò, bella come il sole, senza ombrello. Mi alzai, mi abbracciò forte per qualche secondo, poi mi prese il viso tra le mani, mi fissò e mi disse: Se non fossi sposata, ti amerei.
(eg)
La seconda puntata puoi trovarla qui.