Centenario (o quasi)
Anche oggi c’è un sacco di gente che passa dallo sportello delle prenotazioni. Umanità in movimento, una marea che cresce e poi decresce e poi si gonfia ancora e non smette mai. Persone che vanno, vengono, si fermano per chiedere un’informazione, o un piccolo favore, sempre se possibile per carità, o hanno un milione di altre richieste da fare. Siamo in un piccolo ospedale, in un piccolissimo centro di prestazioni e prenotazioni ambulatoriali. Eppure la quantità di gente che passa qui davanti al vetro del front office a volte è impressionante.
Visi che si vedono male a causa dei riflessi sul vetro, voci che si sentono poco perché lo stesso vetro attutisce i toni spesso già bassi e timidi di persone semplici che non vogliono disturbare. Il contatto è quasi sempre veloce perché c’è la fila, perché tutti hanno un bisogno, una richiesta o lo specialista che li aspetta per una visita. In mezzo alla folla, in questa situazione, capita di non riuscire a fare troppo caso alla persona con cui si sta parlando. E tuttavia succede che di qualcuno ti accorgi per forza.
Il signore davanti a me è un bell’uomo con i capelli folti e bianchi, dal portamento eretto, indossa una giacca sportiva che gli conferisce una certa eleganza. È accompagnato da un uomo più giovane, che però rimane in disparte. È l’anziano che parla direttamente con me per effettuare una prenotazione.
Vedo che la priorità indicata dal medico sull’impegnativa è a lungo termine, sei o sette mesi. È abbastanza usuale: in questi casi il nominativo finisce in una lista d’attesa e da lì ripescato al momento di eseguire la prestazione richiesta.
Spiego tutto al signore, alzando leggermente la voce perché ho notato la protesi acustica, seminascosta tra capelli e basette di un candore abbagliante. Il vetro che separa l’operatore dal paziente a volte rende davvero difficile la comunicazione anche tra chi problemi di udito non ne ha. Ma l’anziano mi capisce perfettamente. Anzi sorride, alza gli occhi al cielo ed esclama: Speriamo di essere ancora qua!
Anche io sorrido automaticamente. È una battuta frequente quando si deve aspettare tanto tempo e non è esclusiva dei vecchi. Anche persone più giovani si fanno prendere dall’ansia di un futuro incognito: cosa può succedere fra tanti mesi? Potrò essere morto, malato, potrei avere un incidente, può morirmi il cane, può esserci la neve o un terremoto…ma non è colpa delle liste d’attesa, in questi casi, se bisogna aspettare che il tempo passi. È che il medico decide che oggi stai bene, perciò il prossimo controllo lo puoi fare in tutta tranquillità anche fra un anno, o un anno e mezzo, o sei mesi: non devi aver paura, nessuno si dimentica di te, ti seguiamo passo passo.
non devi aver paura, nessuno si dimentica di te, ti seguiamo passo passo.
Penso a queste cose, qualche volta le dico pure all’interessato, ma non sempre si ha l’occasione di fare due chiacchiere. Molte volte ci si limita a un sorriso comprensivo o alla più banale delle risposte: Eh, cosa vuole, vale anche per me sa?
Anche stavolta me ne esco con questa stupidità, che mi viene da tagliarmi la lingua. Che ne sanno, dall’altra parte del vetro, che magari altre centocinquanta persone hanno detto la stessa cosa oggi e non mi arriva nessuna frase originale per fare conversazione?
L’anziano signore allarga il sorriso e non commenta, emette una specie di sospiro. Allora speriamo di rivederci, dice mentre metto il suo nome in lista d’attesa. Se ne va dritto come un fuso, con il suo accompagnatore sempre in disparte.
Solo quando è già uscito dalla porta mi cade lo sguardo sui suoi dati personali, in particolare sulla data di nascita. Da lì a un paio di mesi il gentile signore avrebbe compiuto 100 anni.
Guardo e riguardo la data e mi faccio i conti. No, non sbaglio. Un secolo di vita su quelle spalle ancora relativamente forti, di sicuro diritte. Un secolo meno qualche mese. Fatico a crederci, gli avrei dato trent’anni di meno. E mentre mi congratulo mentalmente con lui per come porta con disinvoltura tutto quel peso di vita addosso, mi do della cretina almeno 100 volte, una per ogni anno, per non essermi accorta subito dell’età e per non aver dato subito il peso giusto e il senso esatto a quelle parole. Chi più di un quasi centenario può temere un’attesa di sei mesi per una visita? Chi più di lui può sentire sul collo il fiato della nera e impaziente signora che gli conta anche i secondi e fa un conto alla rovescia che non è dato conoscere? Eppure quella fierezza nella postura, quel parlare senza incertezze e con cognizione di causa, quell’aria scherzosa, mi inducono a pensare che la nera signora rimarrà indispettita ancora per un pezzo. Quest’uomo non ha nessuna intenzione di dargliela vinta, per ora.
La conferma?
Qualche mese dopo l’arzillo vecchietto ritorna per essere sicuro che non ci siamo dimenticati lui. E come potremmo?! Alla fine ha eseguito la sua visita di controllo nel tempo stabilito, quando ormai i 100 anni erano già alle spalle e i 101 la prossima meta. Un passo dopo l’altro, sulla strada del tempo.