Quanto pesa la pazzia
Marta ha gli occhi bassi e la schiena in giù. Il primo giorno di scuola del suo ultimo anno alle medie arriva col suo zaino leggero e la sua anima pesante. Si siede al primo banco, ma è quasi invisibile. Nulla è cambiato in tre mesi, solo un accenno di sorriso mi fa ben sperare.
“Alunna tranquilla ed educata”, recitava la sua pagella delle elementari. Media del sette.Ogni volta che facevo l’appello mi sembrava di disturbarla, ogni volta che richiamavo il silenzio, mi sentivo come un elefante in un negozio di cristalleria.
Avevo come la sensazione che le stessi facendo in qualche modo “violenza”.
Non lo sapevo allora e non avrei mai potuto immaginare l’inferno che Marta si portava dentro fin da piccola.
I giorni trascorrevano, Marta non parlava, non alzava lo sguardo e aveva le unghie consumate, piene di solchi e cicatrici rossastre. Le sue mani erano il suo sfogo, la sua richiesta d’aiuto.
Incontrai la famiglia un pomeriggio come tanti, quando hai 10 minuti per ogni alunno. Dieci minuti per discutere una vita.
Raccontarono di una bambina fragile, emotivamente debole e paurosa. Anche la sua terapista diceva così.
Chiesi con garbo di mettersi a nudo, di raccontarmi la sua infanzia, i suoi pomeriggi. Il quadro dipinto era nitido, l’opzione famiglia perfetta inserita in modalità ON.
I primi due anni trascorsero uguali a se stessi, ripetitivi, senza sorrisi, né parole. Marta restò con noi, ma era come se non ci fosse.
La trovai una mattina all’alba seduta davanti scuola, in lacrime mi chiese di aiutarla a respirare, a mandare via quel male che occupava la testa del padre da sempre, ma che negli ultimi anni era diventato il padrone delle loro vite, di quella della madre e della sorella.
Nulla era giusto, lei era sbagliata, insieme ai calzini spaiati e alle tazze riposte senza ordine millimetrico. La malattia mentale è così, subdola, silenziosa, ingannatrice. Gli attacchi di panico, la violenza verbale, le urla.
E poi la paura del mondo, non riuscire a fuggire dalla rete, perché in fondo la famiglia protegge, ascolta e salva. Il quadro d’improvviso si fa più chiaro. Ora le violenze emergono in tutta la loro potenza. Il panico, le ossessioni, le voci compulsive, il rifiuto delle cure, la stanchezza.
No, non è tutto passato, il suo sguardo dice che c’è solo una tregua, che lei a casa non sta bene, che vorrebbe fuggire, portare con sé la sua infanzia rubata, allontanarsi da una madre che non la protegge come dovrebbe: per paura, per abitudine, per ignoranza o per necessità.
Marta tenta una ribellione sbagliata, con gli altri, con il mondo che vorrebbe accoglierla ma non ha gli strumenti per farlo.
Non so come andrà a finire, non posso saperlo.
Provo ogni giorno da tre anni ad aiutarla, a capirla, ad ascoltare anche quando non parla, ad accoglierla nella sua fame di tranquillità. Non mi arrendo, ma tra un po’ il suo mondo non sarà più il mio. E allora che ne sarà di lei?
Me lo chiedo ogni giorno, e ogni giorno prego affinché questa anima in pena possa trovare pace, fuggire e salvarsi.
La scuola forse non ce la farà.