Intervista a La Municipàl: “Quell’eterno scontro tra andare e restare”
La Muncipàl. Carmine, mi è sfuggito: perché questo nome?
La risposta è semplice: mio papà era comandante dei vigili urbani e all’inizio anche molti musicisti che suonavano con noi erano figli di vigili urbani. Abbiamo usato questo nome inizialmente per prenderci un po’ in giro e poi è rimasto. E’ nato per gioco ma è un nome che ci siamo portati avanti.
Quando qualche tempo fa ho ascoltato l’ultimo disco de La Municipàl, sono rimasto molto incuriosito. Non riuscivo a capire perché la musica e la poetica dei loro brani, anche dei lavori precedenti, fosse così pregnante. Sia che si tratti di brani romantici che di brani più “impegnati”, l’effetto di fondo rimane lo stesso: un colpo di fulmine, musiche che sembra facciano parte da sempre del nostro dna.
Poi Carmine Tundo, fondatore de La Municipàl, mi ha dato implicitamente la risposta, durante questa intervista:
I personaggi dei nostri brani sono tutti reali, così come lo sono i fatti che raccontiamo. Diciamo che la Municipàl ha una scrittura molto reale. Questo non è sempre qualcosa di positivo. Quando racconti tutti i fatti tuoi a volte è come essere nudo. Questo ha i suoi lati positivi, la sincerità in primis, e naturalmente lati negativi: ti puoi fare dei nemici, perché vai a citare delle persone che se ne parli bene non c’è problema, ma se non ne parli bene hai dei rischi… Ho cercato con la Municipàl di non censurare il flusso creativo, di non censurare quello che volevo dire.
I personaggi dei nostri brani sono tutti reali, così come lo sono i fatti che raccontiamo
Ascoltare la Municipàl è vivere una continua discrasia tra dolcezza e durezza. Una sintesi della vita, insomma, ben riassunta da questo pop crepuscolare che fa della nostalgia una colonna portante delle canzoni della band: ci sono personaggi ben raccontati nella loro musica. Mi viene in mente George, un ex amico di penna, che a un certo punto dopo molto tempo smette di scrivere e farsi vivo, facendo sentire molto la mancanza della sua visione lucida sulla realtà; ricordo Ivan, un loro amico, il cui funerale fa riunire conoscenze di vecchia data, amicizie cambiate e arrugginite col tempo. Oppure la ragazza cantata in Valentina Nappi, brano del 2016, alla quale il cantante è molto legato e che poi prende la nomea di ragazza facile.
Chiedo a Carmine del successo degli ultimi mesi. La Municipàl ha iniziato prepotentemente a prendersi la scena indie. Dal 2018, quando si sono esibiti il primo maggio al concertone di Roma vincendo il premio 1M Next, il premio SIAE, Nuovo IMAIE, il premio Altoparlante è stato un susseguirsi di consacrazioni. Ad ogni loro uscita le playlist di Spotify, Tim Music e affini li mettono in copertina nelle playlist della musica indie, appunto.
Il nostro essere indie? In realtà indie non è un termine che mi piace molto, non vuol dire nulla. Amo molto il modo di fare della scena indipendente che è creare musica senza avere vincoli esterni in funzione del mercato, anche se negli ultimissimi anni si è un po’ invertita questa tendenza. L’indie è un fenomeno importante: le generazioni nuove stanno tornando a vedere e a cantare ai concerti, cosa che non succedeva da molto. Questo è stato molto importante.
Tra l’altro noi siamo stati messi in questo filone anche essendo molto decentrati: e questo è un bene. Il fatto di essere della provincia di Lecce non ci rende schiavi della centralità romana o milanese o bolognese.
C’è appunto un brano che avete chiamato “Lettere dalla provincia leccese”. Il videoclip mostra molte persone riprese nei centri dei paesi pugliesi che hanno deciso di rimanere. Hanno fatto bene a rimanere al sud o hanno dei rimpianti secondo te?
C’è sempre una sorta di scontro e di lotta interiore tra tutti noi che scegliamo di rimanere e tra chi invece se ne è andato, tra partire e ritornare. Lo so anche perché la maggior parte dei miei amici vive e lavora al nord, anche le mie sorelle. Io comunque credo che quella sorta di domanda su cosa possa essere giusto o sbagliato sia quella che ti porterai sempre avanti nella vita, però il bello è anche che non c’è una risposta esatta.
Credo che quella sorta di domanda su cosa possa essere giusto o sbagliato sia quella che ti porterai sempre avanti nella vita, però il bello è anche che non c’è una risposta esatta
La tecnologia ha allontanato molto le persone, anche se sembra che le avvicini. Il social ha creato molti danni che verranno capiti tra molti anni. Ancora non ce ne stiamo rendendo conto dei danni a livello umano. Siamo un poco schiavi della tecnologia, sono cambiate tantissime dinamiche relazionali e umane.
Il vostro ultimo singolo, Cartoline di fine estate, non è l’ultimo in ordine di scrittura, anzi, risale a molti anni fa. Questa è una nuova versione, tra l’altro impreziosita dal sax di Raffaele Casarano. Come è stato pubblicare un pezzo che avevate fatto già nascere da più giovani?
Sono molto contento di questa operazione: sto cercando di mettere un po’ di ordine nella mia discografia perché ci sono stati un po’ di buchi temporali dal 2010, quando siamo stati a Sanremo giovani. L’ordine mi serve per voltare pagina, per essere totalmente libero di scrivere cose nuove, altrimenti è come se ci fossero sempre delle cose incompiute. Il bello di essere indipendenti è anche questo: poter pubblicare cose anche degli album vecchi, senza che ci sia qualcuno che ti dice che è giusto o sbagliato. Sto cercando di sistemare tutte le cose che ho scritto anche con altri per avere una specie di biografia artistica, anche per ricordarmi che cosa stavo facendo in quell’anno, in quell’istante.
Il vostro ultimo album si intitola Bellissimi difetti. Quali difetti correggeresti?
Sicuramente dei difetti a livello caratteriale, soprattutto la timidezza che mi ha portato poi ad essere una persona poco socievole e chiusa. Però, col passare dell’età, ho capito che questo può essere qualcosa che mi differenzia dagli altri, quindi non puoi andare a correggere quello che non è proprio un difetto. Quell’album è stato un percorso interiore, mi ha aiutato a capire che quello che consideriamo un difetto, in realtà può essere un punto di forza.
Torniamo indietro, quali sono le Guerre perdute che danno il titolo al vostro penultimo album, quelle che finiscono con una simil preghiera, la bella Se potessi ti salverei dalla fine del mondo? E quali sono quelle ancora da combattere?
Avere una strada ancora tutta da costruire dà la possibilità di mettersi sempre in gioco, di combattere sempre per un qualcosa, per delle scelte che hai fatto. Io ho scelto di fare musica, quindi quel contrasto giornaliero tra vittorie e sconfitte è un qualcosa di molto creativo, soprattutto per il nostro genere dove dalle debolezze, dallo stare male, poi ne tiri fuori delle canzoni. Fa parte tutto di un percorso, quindi sconfitte e vittorie si pareggiano e danno vita a dei dischi.
Cartoline di fine estate è anche un saluto a Isabella che, dopo anni, lascia la Municipàl.
In realtà era qualcosa da sempre in programma. Fin dall’inizio sapevamo che sarebbe arrivato questo giorno. E’ stato un modo per stare insieme. Isa fa altro nella vita, fa il medico. La Municipàl è principalmente un progetto solista dove ho coinvolto Isa per delle questioni caratteriali. Lei comunque continuerà a cantare nei dischi, perché il suono de la Municipàl è quello. Ma nei live abbiamo una formazione che permette di avere una struttura differente.
E se ora vorresti fare un salto da qualche parte? Dove andresti?
La prima cosa che mi viene in mente… vorrei andare sulle scogliere del nord Europa. Mi piacerebbe trasferirmi con il mio studio, provare a fare un disco staccato da tutto e da tutti.